Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I poveri «assoluti» di Napoli superano anche gli immigrati
Il dossier 2018 della Caritas li dà in aumento come in nessun’altra città
I poveri «assoluti» –
NAPOLI nel lessico della Caritas questa è la condizione che marchia le persone al di sotto di ogni standard esistenziale sono in aumento dappertutto in Italia (oltre cinque milioni nel 2017, mezzo milione in più dell’anno precedente) e nel mondo, ma a Napoli il dato si evidenzia con un’aggiunta che fa rabbrividire: questa è l’unica città in cui i poveri indigeni che si contendono i pasti distribuiti dai Centri di accoglienza sono più numerosi degli stranieri, extracomunitari e non. Ed ancora: è la città con il più alto numero di aventi diritto al reddito di cittadinanza. Napoli, insomma, non era mai scesa così in basso: se non inizia la risalita padre Alex dovrà mestamente riconoscere che gli abitanti della sua bidonville keniana, Korogocho, non se la passavano poi tanto peggio.
Un tristissimo primato, insomma, ed insieme un grido di dolore che il Cardinale Crescenzio Sepe urlerà oggi a Cerreto Sannita commentando il dossier povertà della Caritas. Quando abbiamo appreso il dato, che è ancora sottoposto a embargo, siamo andati in giro per i Centri di accoglienza della Caritas all’ora di pranzo. Sono più di 50, sono pochi e mancano soprattutto le strutture di ascolto, le più importanti. Il riscontro delle cifre è immediato con un’aggiunta che rende ancora più drammatico il quadro: nell’elenco dei frequentatori il numero dei padri separati, dei professionisti sprofondati nella disperazione è in aumento. Sono di più e, per giunta, non si nascondono come prima e esibiscono la loro condizione senza più quel falso senso di pudore con il quale hanno sempre tentato di proteggersi. Oggi il diaframma è saltato e l’unica cautela rispettata è la privacy sul nome che pretende rispetto.
Al Centro “Salvi per un pelo” inserito nel complesso della basilica del Carmine e gestito da un francescano di Ercolano – padre Francesco – che sembra uscito dalla foresta di Sherwood tanto è simile all’eroe che giurò fedeltà alla Chiesa e a Robin Hood siamo stati accolti sulla soglia da un distinto signore alto, magro, camicia con il mezzo colletto, occhiali, capelli a caschetto e un linguaggio fluido per nulla imbarazzato. Sembrava un fornitore del Centro, era, al contrario, un nuovo povero. Un altro. A toglierci dall’imbarazzo ha provveduto lui stesso: «Aspetto il secondo turno per mangiare, in tasca non ho un euro e da ieri mi nutro con questa busta di mandarini che mi è stata regalata. Questa è la mia casa, due zaini con le poche cose che mi sono rimaste. Poi più niente. Ho cinquantuno anni e da due anni non trovo lavoro, sono un quasi ingegnere, mi adatterei a qualsiasi mansione, anche la più umile, ma chi prende in considerazione uno nel mio stato?».
Storie di ordinaria disperazione, in questi luoghi le dimensioni della crisi colpisce con la sua plateale evidenza. Il vicedirettore della Caritas, Giancamillo Trani, al contrario non è affatto sorpreso. «I poveri hanno tutti la stessa dignità, dice, ma è doveroso sottolineare che la condizione dei nostri giovani è diventata disperata: nel nostro dossier il 34% non studia e non lavora – in Italia la media è del 16% - e in fila troviamo sempre più persone insospettabili». La riservatezza è d’obbligo, ma un caso è davvero emblematico: «Sì, è quello dei due imprenditori soci di un’azienda travolta nel giro di pochi mesi. Da agiati che erano sono diventati poveri dalla sera alla mattina e li troviamo spesso in fila insieme ai clochard e ad altri disperati».
Don Francesco e la sua omonima collaboratrice, Francesca, veterana del Centro di via Marina, che è una sorta di porto di mare, non sanno più a quale santo votarsi: «Vorremmo fare di più ma risolviamo solo i bisogni materiali – mangiare, lavarsi, tagliare i capelli – ma quando guardo negli occhi, soprattutto se sono giovani, capisco che chiedono di più, magari di essere davvero aiutati a reinserirsi ma non possiamo fare altro». «È vero - replica il vicedirettore Trani - la Chiesa è stata lasciata sola, queste strutture si reggono con i volontari e i donatori privati: senza di loro faremmo ancora meno». Non vorrebbe dire altro, ma poi si lascia scappare che un donatore non credente «ci ha versato sul nostro conto una grossa cifra - 200mila euro? – consentendoci di risolvere qualche situazione davvero precaria, come quella di un giovane di 34 anni al quale abbiamo fatto avere una modesta pensione che gli ha consentito, però, di prendere una piccola stanza in fitto. È rinato». Quanti, invece, sono finiti in fondo al burrone?
Un uomo
Ho 51 anni e non trovo più lavoro Ho due zaini per casa
Trani
La condizione dei nostri giovani è diventata disperata