Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Letteratura, infanzia, calcio Mari si racconta agli studenti
Lo scrittore all’Umberto: da bambino i libri per me erano la vita
Michele Mari è tra i più schivi scrittori italiani e sa mantenersi alla giusta distanza dai riflettori mediatici, eppure si svela quasi completamente nella sua scrittura, nutrita spesso da materia autobiografica. Come nel caso del suo ultimo intenso romanzo
Leggenda privata (Einaudi), tra i finalisti del Premio Napoli, sezione narrativa.
Lo scrittore milanese ne ha parlato ieri mattina al liceo Umberto e nel pomeriggio nella sede della Fondazione a Palazzo Reale. Vista la natura riservata dell’autore e quella complessa del libro, l’incontro con gli studenti poteva rivelarsi difficile, ma così non è stato e nella sede del liceo di Chiaia l’atmosfera si è riscaldata presto, grazie alle domande dei ragazzi dell’Umberto e gli ospiti del Labriola. Primo punto toccato: proprio l’autobiografismo del romanzo. Leggenda privata sviscera l’infanzia dell’autore vissuta sotto il peso di una famiglia intellettuale e severissima. In primis il padre, il designer Enzo Mari, geniale e tirannico. In casa, un despota da ammirare e al quale era impossibile ribellarsi. Nel libro Mari introduce un elemento fantastico, fedele alla sua passione per il gotico: i mostruosi Accademici che gli commissionano il racconto della sua vita e lo punzecchiano di continuo, costruendo così una sorta di cornice dentro la quale si snoda il filo principale. «Non avevo mai avuto il coraggio», spiega Mari, «di scrivere in maniera così aperta le memorie dure e sgradevoli della mia infanzia. Ne avevo fatto cenno molte volte, ma senza mai approfondirle. In particolare, mio padre l’avevo appena lambito in un racconto e lui mi ha tenuto il broncio e mi ha accusato di memoria selettiva. Ora invece ho scelto di raccontare la mia storia privata in modo leggendario. Già in famiglia c’erano argomenti trattati come leggende: l’arrivo di mio nonno dal Sud, mia mamma ragazzina che scalava le montagne con Buzzati. Attraverso la letteratura si può narrare l’immediatezza della vita in modo non immediato ma, appunto, leggendario. Un po’ come John Ford che ha fatto della vita dura nel West l’epopea che conosciamo e amiamo». Eppure a volte non manca l’elemento comico... «Mi dicono che le mie storie fanno anche ridere. All’inizio questo mi lasciava sconvolto, credevo di essere cupo e tragicissimo. Ma in realtà ne sono contento».
La letteratura, chiede un ragazzo, è una fuga dalla realtà? «Per me sì», risponde Mari. «Da ragazzo leggevo Stevenson, Melville, London o Poe per evadere da una situazione che non mi piaceva. Parlerei di sostituzione: ho vissuto la mia infanzia sostituendo la letteratura alla vita. Andavo a cercare l’oro con Jack London e non al parco con i miei coetanei. In questo libro poi uso l’elemento fantastico, quello dei mostri che mi costringono a scrivere la mia biografia, per giustificare l’atto impudico di mettermi a nudo in pubblico».
Sulla costruzione del romanzo, Mari rivendica la parte da artigiano: «Scelgo sempre titoli e copertina. In questo caso ho trovato la foto con mia madre e poi la casa editrice mi ha chiesto di aggiungere altre fotografie nel testo. E in ogni caso, sono sempre riuscito a salvare dagli editor la mia scrittura». Autore che utilizza un registro formalmente alto, Mari preferirebbe forse entrare nel merito del suo lavoro di scrittura, ma il discorso torna sulla storia di un’infanzia che agli studenti napoletani appare infelice, con regole di straordinaria durezza. «A casa mia si coltivava il mito dell’eccezionalità, si doveva primeggiare, ci si compiaceva dell’unicità e questo creava il vuoto intorno. Fino a vent’anni sono stato una monade e anche da adulto l’influenza di mio padre ha continuato a condizionarmi. Per lui era assurdo indulgere alle mode, e quando viene uno studente con le scarpe fluo a fare un esame con me devo contare fino a dieci e pensare che non per questo è un cretino. Poi magari gli metto 30. Ormai ho trovato i miei compromessi con la vita». Tutta questa materia personale così palpitante ha quasi dei contorni horror?, chiede un altro ragazzo. E Mari svela: «L’Einaudi voleva che aggiungessi come sottotitolo Un’autobiografia horror, ma ho detto di no. In Italia siamo sommersi dalla letteratura di genere, tutti gli scrittori italiani scrivono noir e gialli. Ce n’è abbastanza».
Tra i divieti di Mari padre, c’era quello sul calcio: «Non potevo seguirlo, era considerato roba da cretini. Invece ora soddisfa la mia pulsione verso il trascendente. Voglio dire che il Milan è una religione (e quindi tifo Napoli per ovvi motivi anti-juventini). Insomma, ho fatto il mio investimento di sacralità nella letteratura e nel calcio. Quando penso al Milan di Van Basten provo un languore, uno struggimento simile a quello che sento ascoltando la Passione secondo Matteo di Bach».
Il lavoro artigianale
Scelgo sempre da me la copertina e sono riuscito a salvare dagli editor la mia scrittura Volevano che mettessi come sottotitolo: Un’autobiografia horror, ma non ho voluto, in Italia ci sono già troppi autodi di gialli e noir