Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le (inevitabili) paure della prima volta
Nei film americani di cassetta le donne sono rudi, hanno un mascellone e, in compenso, mai il ciclo. Di fatto sono maschi con le tette. Una mistificazione, pensò l’uomo velocizzando il passo. Per fortuna era praticamente arrivato. Di fronte a lui un mesto esempio del razionalismo architettonico imperante nell’edilizia scolastica italiana anni ‘60. La sala-riunioni resa disadorna sia dalle pareti spoglie, sia dalle sedie impilabili rosse. L’uditorio raccogliticcio di padri e madri, con stanche facce post-lavorative. Come se non bastasse l’uomo, sopraggiunto ad esposizione in corso, aveva fatto levare in piedi mezza fila tra i mugugni. La conferenziera troneggiava al tavolo sulla pedana. Quarantenne. Occhialuta. Infagottata in una mantella. Con un taglio dei capelli sfibrati, incolori che l’uomo classificò subito da psicologa.
«...E qui veniamo al focus del nostro incontro: la prima volta dei giovanissimi».
Già solo l’argomento irritava l’uomo. Per come era stato tematizzato: Superare le paure della prima volta. Per lui sarebbe stato impossibile mancare, a quel punto.
«Come voi sapete viviamo in un’epoca di sessualizzazione precoce».
«Non dirci cose che già sappiamo», sibilò l’uomo. «Sorprendici con quello che non immaginiamo. Forza».
«Le giovanissime, già a partire dai 13/14 anni sono spinte verso un’immagine sempre più sexy ed ammiccante che riflette i peggiori stereotipi di genere».
L’uomo si agitò sulla sedia. In primo luogo perché gli stereotipi celano un nucleo di verità. In secondo luogo odiava il vocabolo “genere” che, alle sue orecchie, scontava anche l’assonanza con la vituperata parola “genero”.
«I giovanissimi maschi, dal canto loro, sono costretti a porsi mille domande di natura prestazionale. Sarò capace? Il mio corpo funzionerà nel modo giusto al momento giusto?».
L’uomo drizzò il braccio come un alunno che voglia interloquire. Non aspettò l’autorizzazione dalla cattedra.
«Forse», tuonò, «dovremmo farci delle domande sul perché. E risponderci che, oramai, la sessualità maschile è stata distrutta. E infatti sopravvive solo grazie ai cerotti. Medicalizzata col Viagra, intendo dire».
Il brusio per quell’intervento irrituale. Un paio di presenti pregustavano il sangue metaforico che scorrerà quando uno del pubblico arriva con intenti bellicosi. La psicologa non si scompose.
«Se lei ha la pazienza di ascoltarmi, arriveremo al punto che lei giustamente mette in evidenza».
Dopodiché aveva ripreso il filo, imperterrita. L’uomo la mise a fuoco meglio. Il suo viso paffuto; l’assenza di zigomi che rende inespressive certe fisionomie. Il timbro di voce tendente al monocorde. Imperturbabile anche davanti alle scariche elettrostatiche originate da una microfonazione scadente.
«...Parlavamo di sessualizzazione precoce. Secondo le statistiche una ragazza su dieci ha già avuto un’esperienza completa sotto i 14 anni. A 15 due ragazze su dieci hanno già avuto un rapporto sessuale completo».
L’uomo aveva letto, in un’inchiesta, di adolescenti che si riferivano alla verginità come ad un impaccio. E della necessità di farsi “stappare” (sic!) quanto prima. I suoi occhi sbarrati davanti all’immagine di un cavatappi attorcigliato nelle viscere di una bambola supina, ignara di sé credendo l’esatto contrario.
«Di fatto gli adolescenti non giocano più a fare i grandi, ma dispongono fin da subito di un’identità adultizzata che non consente passaggi graduali. Perciò hanno bisogno di essere aiutati porsi le domande giuste. E a evitare, così, una serie di paure e contenuti angosciosi legati al primo impatto reale con la sessualità».
Stavolta l’uomo non si curò di alzare la mano. Ruggì direttamente.
«Ma è giusto e naturale avere paura, la prima volta: è la paura dell’ignoto! È la sacrosanta paura di superare un confine!».
L’uomo sembrava sputare fuoco.
«Guai non esistessero le soglie e i confini. Guai non fosse così! Guai se non si avesse paura di affrontare un’esperienzalimite. Allora sarebbe la fine della sessualità. Vorrebbe dire che l’eros sarebbe importante come bere un bicchiere d’acqua! Non so: è questo che vogliamo?».
La conferenziera si era levata in piedi. Lenta, per sedare le occhiate di disapprovazione verso un disturbatore bisognoso di venire psicoanalizzato al più presto.
«Mi scusi, ma i genitori non sono venuti per assistere ad una guerra privata fra lei e me. Se vuol farmi delle domande, o dialettizzare, sarò ben lieta di incontrarla in un’altra occasione. Il calendario dei colloqui privati è affisso nell’atrio».
Il mormorio di approvazione prossimo a sfociare in un battimani. L’uomo, interdetto, si al- zò per andarsene accompagnato da un palpabile sospiro di sollievo. Scrollava il capo, anche se la parte dell’appestato lo entusiasmava da sempre.
La psicologa fu l’ultima a lasciare la sala. L’incontro — a parte l’intermezzo con quel tizio agguerrito — «aveva funzionato». Le domande erano state pertinenti e le risposte esaurienti. Peccato piovesse. Frecce d’acqua nel riverbero dei lampioni. Il piovasco aveva dissolto sul nascere il formarsi dei classici capannelli; i genitori erano oramai sfollati tutti dileguandosi nelle viuzze laterali. Di autobus o taxi, in quella porzione di Vomero, manco l’ombra. In compenso un’ombra piantata sul marciapiede: il guastafeste di prima, rimasto a gironzolare nei paraggi. Fermo alle intemperie. La conferenziera trascolorò: quel tizio dava corpo alle ansie e a tutte le sue nausee. La psicologa rabbrividì: l’uomo stava attraversando per accostarsi a lei. Era inevitabile come in certi film dell’orrore. Lo sconosciuto ora la stava riparando sotto l’ombrello. Con un atteggiamento contrito, premuroso.
«Volevo scusarsi per prima. Non me n’ero accorto subito, poi ho unito i puntini. Una donna in stato interessante va trattata con gentilezza, non aggredita. Mi scuso ancora: a volte esagero».
«Non deve scusarsi», lei, rinfrancata. «Forse anch’io avrei potuto essere meno secca. Ma oggi è stata una giornata pesante...».
«È la sua prima gravidanza?».
Una luce — fiera, timorosa — sul volto di lei.
«Sì. E’ la mia prima volta. Sono una primipara attempata, come si dice. Ed ho paura, talvolta. L’ignoto fa sempre paura, in effetti».
«Andrà benissimo», replicò lui paterno. «Non è una previsione, mi creda. È una predizione».
Tuttavia l’uomo non poté impedirsi di riflettere che quella donna costituiva un segno nella più vasta sintomatologia del Grande Disordine.
«Medice cura te ipsum», pensò, «Medico, cura te stesso».
” I giovani maschi, sono costretti a porsi mille domande Sarò capace? Il mio corpo funzionerà nel modo giusto al momento giusto?