Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Con l’«Aminta» di Tasso, Latella rischia e vince al Nuovo
Rischia (e vince) Antonio Latella abbandonando stavolta la sua attrazione per le immagini forti, per i movimenti convulsi e per i ritmi che si accavallano in continue metamorfosi di senso e di figure. Nell’«Aminta» di Tasso, ancora oggi alle 18 al Nuovo, il regista stabiese lavora infatti di sottrazione, spostando il suo focus tutto sulle parole: nude, musicali, dense di un significato aperto che costringe lo spettatore a inedite e creative attenzioni. Un ripartire dall’architettura strutturale del teatro che regala un ascolto, più che una visione, di un poema pastorale cinquecentesco, al meglio finito nei ricordi di qualche lontana interrogazione scolastica. E invece la ripresa dei versi del poeta sorrentino attivo alla corte degli Estensi si rivela un regalo, che restituisce insieme il gusto per l’intreccio di endecasillabi e settenari, propria del madrigalismo, ma soprattutto acute riflessioni sull’amore, fisico e spirituale, che non sembrano conoscere la polvere del tempo. Il pastore Aminta ama la ninfa Silvia, non ricambiato, e tutta l’opera si avvolge intorno a questo tema, intrecciandosi ai consigli di Dafne e di Tirsi. E così il regista confronta i versi tassiani (come «È spacciato un amante rispettoso: consiglial pur che faccia altro mestiero») con i riff aggressivi del rock di «Rid of me» di P.J. Harvey e «Vitamin C» dei Can, unica concessione (insieme alla scena in cui Silvia spoglia un inerme Aminta) alla visione latelliana, qui ferma ai 4 microfoni piantati in scena da cui recitano, coprendo più ruoli, Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna e Giuliana Bianca Vigogna. Protagonisti di una prova notevole di memoria ed espressività, che riesce nella non semplice ellissi di tenere insieme atmosfera tardo-rinascimentale e riflessione contemporanea, destinate ad incontrarsi infine sull’idea dell’amore impossibile, e quindi, come sottolinea lo stesso Latella, sulla sua disperata ricerca.