Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Macry indaga le ragioni di un insuccesso metropolitano
Paolo Macry è un protagonista della cultura storica italiana contemporanea, ha contribuito ad avviare in senso più moderno e scientifico di quanto sia accaduto gli studi sul Mezzogiorno e su Napoli fornendo interpretazioni innovative di alcune questioni di grande attualità storiografica. Il volume Napoli che si presenta oggi (Libreria Feltrinelli ore 18) ne è la conferma.
Macry ripercorre l’intera storia della città: da colonia greca a vicereame spagnolo, a capitale borbonica, a caotica metropoli del nostro tempo. Raccontare Napoli non è semplice dirà Paolo a conclusione del suo lavoro.
Incombe la «dorata menzogna», l’ipoteca ideologica dell’eccezionalismo, l’idea consolatoria che Napoli rappresenti una sorta di «universale», «un’umanità più umana di ogni altra». Paolo respinge con fastidio il mito di una vitalità primigenia irreprimibile.
Il punto centrale del suo lavoro a me pare sia la ricerca delle ragioni storiche della contraddizione di fondo che attanaglia la città. Perché a Napoli «le strade della civiltà europea si sono affermate in modo parziale e contraddittorio»? Dove ha origine il ritardo che la società napoletana denuncia rispetto alla modernità: nella legalità, nell’organizzazione dei servizi, nella dotazione di infrastrutture? L’insuccesso di Napoli come metropoli moderna non nasce
dal continuo formarsi lungo tutte le modernizzazioni che si sono tentate di sacche sociali irriducibili all’integrazione?
Macry segue la lezione di Giuseppe Galasso, «l’importante è che di Napoli non si faccia un feticcio, né come caso disperato, né come fatto di napoletanità…il caso disperato è un comodo luogo comune di evasione dalla responsabilità….le risposte e le scelte semplicistiche ad una dimensione sono proprio le meno responsabili, le meno coraggiose». Riemerge nel lavoro di Macry «la sorprendente perduranza» che presentano talune caratteristiche della città. La verità è che nel passato si fissano aspetti non secondari della identità napoletana. Ha ragione Paolo quando ricorda che quella di Napoli non è una storia bonaria o apollinea. Di essa, «al contrario colpiscono taluni caratteri drammatici, fratture radicali, più radicali che altrove». Si tratta di una lunga vicenda storica il cui sviluppo contraddittorio, non di rado compromesso dalle troppe occasioni perdute, ha impedito la formazione di una classe dirigente capace di governare gli eventi e di alimentare gradualmente,
in tutti gli strati della popolazione, una coscienza civica, una consapevolezza democratica, un minimo di aggiornamento culturale. Le oscillazioni del pendolo della storia di cui scrive Macry disegnano una curva spezzata da ferite profondissime. Un alternarsi di innovazioni e involuzioni, di possibilità colte o fallite, di permanenze e rotture, di violenza e rassegnazione. Il peso del passato sulla società napoletana non sarà privo di conseguenze. Non maturerà a Napoli un vero e proprio spirito civico, «uno spirito municipale elevato sul piano etico sociale, che potesse servire di base a una vita pubblica e a sentimenti di autonomia più solidi e costruttivi». Alla crescita economica che si produrrà non corrisponderà un eguale sviluppo civile.
Una parola infine sulle vicende politiche e sociali più recenti su cui si sofferma Macry. Le immagini che sottolineano i mali di Napoli sono cambiate ma restano vivide e aspre se si guarda al permanere del degrado nel centro storico, alla Sanità, a San Lorenzo, al Vasto, nei Quartieri spagnoli; né possono sfuggire le difficoltà che attanagliano le periferie.
Quello che più tormenta è il timore che sia ormai troppo tardi per aprire una prospettiva di ripresa economica e civile per Napoli. Troppo tempo si è perso. Altre città investite dalla crisi di un tradizionale modello industriale hanno colto le opportunità di un mondo in cambiamento effettuando vigorosi processi di riqualificazione urbana. A Napoli è prevalso l’immobilismo. C’è da riflettere per tutti. Per la sinistra in particolare. Per diciotto anni ha avuto il monopolio del potere politico a Napoli, alla conclusione di quel lungo ciclo i problemi di fondo della città, nella sostanza, erano gli stessi di venti anni prima. Era stata sprecata una occasione irripetibile. Cosa non funzionò in quei quasi venti anni? Non se ne è mai discusso seriamente. E veniamo all’oggi. E’ possibile riprendere una battaglia politica e ideale intorno ad una idea moderna della città e del suo futuro contrastando le tendenze alla demagogia e al plebeismo? Mali che tendono sempre a riemergere nella storia politica e civile di Napoli. E’ una sciocca forma di snobismo chiedersi cosa sia stata, negli anni di De Magistris, «la festa
del baccalà e della pizza» sul lungomare? E’stato serio interrogarsi per mesi sulla installazione di un corno gigantesco all’altezza della colonna spezzata? L’archetipo da cui Napoli stenta a prendere le distanze. Il sottofondo plebeo nella storia di Napoli c’è da secoli. Che oggi ottenga sostegni anche in ambienti «colti» dà la misura della gravità di un fenomeno che si può contrastare solo con una battaglia politica e culturale aperta oltre che naturalmente con azioni concrete di promozione dello sviluppo. Chi alimenterà tale battaglia? L’assenza di una credibile alternativa ha consentito a chi guida l’amministrazione partenopea di rianimare un deteriore napoletanismo, di promuovere la rivolta in nome di una confusa rivendicazione autonomistica fondata sulla denuncia dei torti che Napoli avrebbe subito dalla protervia dei governi, di alludere alla adozione a Napoli di una seconda moneta. In una delirante intervista nell’ultimo numero dell’Espresso De Magistris riassume il suo «pensiero». Suscita sgomento pensare che costui sia il sindaco di Napoli.