Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La tesi di Bonomi non mi convince
Caro direttore, nell’editoriale di ieri Paolo Grassi ha ripreso la tesi di Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, secondo cui sarebbe arrivato il tempo di capire che l’Italia «ha bisogno di ricette diverse per territori».
Un chiaro orientamento, questo, a favore di soluzioni «specifiche» per le due aree del Paese. Il tema riapre un antico dibattito che ha contrapposto i teorici degli interventi speciali con le tesi di chi riteneva al contrario che il Mezzogiorno non esistesse (ipnotizzati dalla retorica dei tanti Mezzogiorni) e dunque bastasse una buona politica nazionale. È in questa riflessione che si collocano le recenti posizioni Svimez sulla necessità di politiche differenziate per il Mezzogiorno che però divergono profondamente da quanto proposto da Bonomi.
Il presidente di Assolombarda sostiene che sarà difficile, per il Nord, continuare ad esercitare «la funzione di traino solidale della Penisola», senza una adeguata considerazione della “questione settentrionale”.
Partendo, ancora una volta, dalla riproposizione di una contrapposizione degli interessi del Nord da quelli del Sud. Tesi che trovano poco supporto nelle analisi della Svimez che, con una certa coerenza negli ultimi anni, ha sempre sollecitato il decisore pubblico ad inquadrare il tema del Sud in una strategia nazionale di fuoriuscita dal declino. Basti pensare alle Zes che solo «nominalmente» sono strumenti specifici per i territori meridionali, perché è il Sud che si affaccia sul Mediterraneo. Sarebbe l’economia nazionale a beneficiare della loro istituzione, riportando il Paese al centro dei traffici internazionali. Queste, come altre proposte della Svimez, si reggono su un fatto ampiamente sottovalutato nelle letture dei problemi italiani e nel disegno delle politiche: l’interdipendenza tra Nord e Sud del paese. Nord e Sud sono due aree strutturalmente diverse, certo, ma strettamente integrate e interdipendenti e che quindi, necessariamente, tendono a crescere ed arretrare insieme. La Svimez stima che la domanda interna per consumi e investimenti del Mezzogiorno attiva circa il 14% del Pil del Centro-Nord
Pensare ancora oggi a Nord e Sud del Paese come realtà socioeconomiche sganciate, come pare si assuma anche nelle tesi di Assolombarda, vorrebbe dire perdere, ancora una volta, l’occasione di mettere a valore la loro interdipendenza nell’interesse nazionale.
Ancora una volta, perché se il Pil pro capite italiano è ancora quello del 1999 è anche, o forse soprattutto, perché le politiche nazionali si sono alimentate all’illusione che il Nord potesse farcela da solo. Perciò, di fatto, le politiche, senza soluzioni di continuità, hanno seguito lo stesso «schema» per tutto il ventennio del declino, scegliendo la strada della «soluzione per parti»: far ripartire il Nord e, per quanto concesso dalle politiche di coesione europee, compensare in qualche modo il Sud.
Così è stato, ad esempio, per il federalismo fiscale a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione, pensato per liberare il Nord dalla zavorra del Sud. Nel frattempo, il Nord ha perso la sua funzione di traino del paese, perché abbiamo perso il Sud. E anche la «solidarietà» territoriale richiamata da Bonomi, nei numeri non c’è più: i residui fiscali che ancora oggi le regioni del Nord vorrebbero indietro sono calati brutalmente nell’ultimo ventennio e vengono ampiamente compensati dall’apporto di capitale umano di tanti giovani laureati del Sud che vanno a creare valore al Nord.
In questo senso dunque è difficile riconoscere, oggi, un tratto di novità nella proposta di politiche specifiche per i territori, se vuol dire due strategie diverse per due aree del Paese. Altro è invece considerare l’urgenza di adattare le politiche nazionali alle specificità territoriali. In questo senso la Svimez ha richiamato l’esigenza di politiche rafforzate nel Mezzogiorno volte in primo luogo a riequilibrare il livello dei servizi essenziali in comparti fondamentali che vanno dalla sanità all’istruzione: diritti di cittadinanza limitati che impattano sulla qualità della vita dei cittadini e sulla possibilità di fare impresa al Sud.
La politica di coesione non può esaurirsi nella politica tradizionale di intervento (attraverso incentivi fiscali, contratti di sviluppo, investimenti pubblici), ma deve essere accompagnata da politiche territorialmente differenziate, in grado di riequilibrare la qualità di alcuni beni pubblici essenziali. Dunque specificità degli interventi all’interno di un quadro di sviluppo nazionale, basato su una riqualificazione della spesa pubblica e un rilancio degli investimenti, scesi in dieci anni dal 3,8 al 2% del Pil.
Solo attraverso una strategia nazionale per la crescita si può superare il rischio che la soluzione per parti, che ha rappresentato uno schema costante delle politiche, oggi, possa diventato addirittura uno «schema di governo».
Con due azionisti di maggioranza interessati, ciascuno, a misure specifiche per il proprio territorio di riferimento.