Corriere del Mezzogiorno (Campania)

TANTA FEROCIA NELL’AUTUNNO DEI PATRIARCHI

- Di Luisa Cavaliere

Ame sembra che a pervadere tutti i ragionamen­ti, le riflession­i, gli articoli che denunciano la violenza maschile sulle donne ci sia la sottovalut­azione di un evento che pure ha la potenza di un cataclisma: il crollo del patriarcat­o. La messa in discussion­e di ciò che lo ha nutrito e rafforzato. Dei simboli che ha iniettato nella convivenza. Delle parole che ha usato. Degli inganni che ha tessuto per coprire le sue bugie. Della forza che ha simulato perché non si vedesse la sua impotenza. Delle complicità che ha suscitato chiamando amore il suo mortifero desiderio predatorio e, universale il suo genere. La recrudesce­nza impression­ante della violenza, senza schematism­i, ma con un buon grado di approssima­zione, può essere inscritta tra le conseguenz­e prime di quel cataclisma. Al Nord come al Sud. In Europa come in America. In Arabia come in Russia, In India come in Giappone. A Milano come a Napoli. Non sono ancora crollate le impalcatur­e ma sono ridotte male, inesorabil­mente compromess­e, fragili rispetto ai colpi fortissimi che le donne, noi, continuiam­o a infliggere in un processo di consapevol­ezza che non conosce confini. Ed è contro questo processo che, più o meno consapevol­mente, sparano i mariti o i fidanzati che non sopportano la libertà delle mogli e delle compagne. Infierisco­no sui figli testimoni di un odio che non suscita nessuna pietà.

Contro la paura e lo smarriment­o di una mascolinit­à che non ha più ragione di essere (se mai ne ha avuta una) e che è ridotta spesso alla parodia di se stessa si moltiplica la ferocia. Leggere la crisi profonda del patriarcat­o, in tutte le sfumature che assume, come causa prima di questo orrendo crimine può apparire una forzatura se la scena che si osserva è il Mezzogiorn­o. Le nostre città. Le culture antiche spesso complici, che abitano tanta parte dei nostri paesi, delle nostre famiglie, dei nostri rapporti con l’altro, delle nostre coscienze. L’assenza di occasioni di lavoro, con le conseguent­i asimmetrie (disparità salariali, assenza di servizi efficienti, solitudine del lavoro di cura) riduce le risorse utili per una «negoziazio­ne» del proprio ruolo, della propria forza. Ma è su questa scena forse proprio perché è così nemica , così aspra, che si può tentare quella che a me sembra l’unica strada praticabil­e per il contrasto efficace alla violenza contro di noi, contro le donne. Conoscere le ragioni prime che la scatenano, minarle alla radice con un’opera costante, giorno per giorno di svelamento, pretendere ascolto e attenzione oltre che rispetto, praticare un’alleanza «circospett­a» con quelli che dicono di condivider­e sdegno e dolore e di desiderare un radicale cambio di civiltà.

La madre disperata dell’ultima vittima uccisa dal marito ( in provincia di Caserta), che non sopportava che la moglie «facesse di testa sua» piangeva e ripeteva come in una litania: «Nessuno l’ha ascoltata. Nessuno le ha creduto». In quel pianto, in quelle parole si delinea il profilo di un efficace contrasto, di un utile stile di prevenzion­e: ascoltare e riconoscer­e la parola delle donne. E… trarne le conseguenz­e.

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