Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il barbone, il paradiso e la monnezza

- di Fortunato Cerlino

«Quando i bambini fanno oh! Che meraviglia, che meraviglia!».

Canticchia Rosario mentre trascina per il rione una decina di sacchetti strapieni di monnezza maleodoran­te.

Una delle buste, toccando terra, lascia una scia di sugo sui lastroni.

Il barbone si ferma per riprendere fiato. Estrae dalla tasca della giacca logora una bottiglia di Peroni da sessantase­i centilitri. Un sorso deciso, poi si accerta che sul fondo sia avanzata un po’ di birra e riprende il suo calvario.

«Se c’è una cosa che ora so ma che mai più io rivedrò è un lupo nero che da un acino (smack) a un agnellino!».

Il sacchetto cede. Sulla strada si rovesciano liquami e rifiuti di diverso genere.

Rosario poggia i pesi, sfila il cappuccio e si gratta la testa.

«Rosà, ma che cazzo stai cumbinanno?» tuona Peppino ‘o giornalist­a mentre chiude la sua edicola.

Affondando le mani tra i rifiuti, Rosario cerca di raccoglier­ne il più possibile per buttarli nel vicino cassonetto già stracolmo.

«Guarda che hai fatto!». Continua Peppino avvicinand­osi.

Il barbone alza al cielo le braccia. «Nunn’è colpa mia!».

«Ma che ci devi fare cu sta munnezza?». «Mi serve!».

«Per cosa?».

«Pe’ cumbattere!».

‘O giornalist­a non capisce. Sbuffa. «Ma non stava bene dinto ai cassonetti?».

Rosario pensa alla domanda di Peppino. Si gratta di nuovo la testa. Una scorza di mela rimane attaccata ai capelli.

«No, non stava bene» Risponde convinto, poi riprende a fare la spola tra il cassonetto e la strada.

Peppino, nauseato più dal cattivo odore che proviene dall’uomo che dalla monnezza, indietregg­ia di qualche passo.

«Lascia sti sacchetti sotto ‘o contenitor­e che mo passa ‘o camiòn per il giro serale».

«Questo proprio non deve succedere!

Chesta nunn’è munnezza, è un’arma!».

«Ma che dici? Posa sta munnezza e vattenne».

Rosario si piega sulle ginocchia. Si contrae mentre trattiene un urlo soffocato. Peppino fa ancora qualche passo indietro, stavolta perché si spaventa.

«Songo rimasto solo io a combattere ‘a camorra a Napoli? Nisciuno fa niente? Nisciuno?». Esplode prendendos­i a schiaffi ripetutame­nte. Sul volto sporco rimane appiccicat­a una sfoglia di cipolla.

«Chiudi l’edicola e torna a casa Peppì, sennò nun saccio comme va a fernì!», dice infine provando a recuperare la calma.

«Vabbuó, vabbuó, me ne vaco, stai calmo».

«Finché i cretini fanno “boom” tutto il resto è uguale

ma se i bambini fanno “oh”basta la vocale». Rosario si sporge dal palazzo che fa angolo con la strada dove vive ‘o Bellillo. Beve l’ultimo sorso di birra per farsi coraggio. Si pulisce la bocca con la manica della giacca, poi butta la bottiglia nella campana per la raccolta del vetro. Il rumore dei cocci rimbomba nel contenitor­e vuoto. Rosario impreca sottovoce, poi verifica che nessuno abbia sentito. Sembra tutto tranquillo.

Le videocamer­e di sorveglian­za sono in funzione e i lampioni in strada sono accesi. Deve agire con destrezza se non vuole essere scoperto. Si infila in testa il cappuccio e sgattaiola radente al muro trascinand­o con sé quanti più sacchetti di monnezza riesce a prendere.

Li lancia oltre il cancello dell’abitazione di ‘o Bellillo, poi corre dietro l’angolo per un altro carico. Riesce a portare a termine tre lanci prima che la luce di sorveglian­za si accenda. Osserva soddisfatt­o il giardino di casa di ‘o Bellillo. Una ventina di sacchetti di monnezza giacciono sul prato ben curato. Alcuni si sono aperti vomitando rifiuti sul vicino pavimento in porfido. Una buccia di banana è finita sulla testa della statua di Padre Pio a grandezza naturale.

Rosario si fa il segno della croce. «Padre Pio, chisto nunn’è posto per te. Vattenne!». Sussurra alla statua del Santo.

«Questo è ‘o posto giusto per fa il nuovo termo-valorizzat­ore!», urla.

Un suono metallico. I pistoni della serratura blindata scattano uno dopo l’altro. Rosario si dà alla fuga nel momento stesso in cui un uomo armato apre la porta di casa. Con la coda dell’occhio riesce a vedere l’energumeno mentre scivola sui resti di una pizza margherita.

«E ognuno è perfetto uguale è il colore evviva i pazzi che hanno capito cos’è l’amore».

Canta Rosario a squarciago­la mentre corre verso il mare.

Con un balzo supera il muretto su via Caracciolo e senza fermarsi si butta in acqua.

All’orizzonte la luna gioca a nascondino dietro i lampioni di Castel dell’Ovo. Le luci dei paesi arrampicat­i sulle pendici del Vesuvio lo fanno sembrare un presepe.

«In paradiso non c’è posto nè per la monnezza, nè per la camorra!», pensa Rosario. Poi immerge la testa sotto l’acqua.

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