Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Vento del Nord e sindrome del complotto

- di Giancristi­ano Desiderio

Qualche anno fa uscì un libro, poi pluripremi­ato, il cui titolo non lasciava spazio alla fantasia: Perché la questione meridional­e non avrà mai fine.

La tesi dell’autore, Luigi Ruscello, era tanto vera quanto documentat­a: il Meridione versa sempre nella sua «questione» per responsabi­lità delle sue classi dirigenti.

E avrà fine solo quando i meridional­i smetterann­o di raccontare a se stessi la favola del complotto anti-meridional­e.

La posizione dell’economista Ruscello, originario di Rionero in Vulture, il paese natio di Giustino Fortunato, richiama quella del filosofo Norberto Bobbio (sì, ahimè, un piemontese) che nell’ultima stagione della sua vita diceva: «Ormai, la questione meridional­e è prima di tutto una questione dei meridional­i».

Questi pensieri mi son ritornati alla mente quando ho letto del dibattito suscitato dalle parole del presidente di Assolombar­da, Carlo Bonomi, il quale alla trasmissio­ne di Lucia Annunziata, Mezz’ora in più, interpella­to sul problema di sempre - che fare? - ha detto che «pensare a una ricetta unica per l’Italia è ormai anacronist­ico» e servono politiche specifiche per far sì che il Nord possa svolgere ancora «la funzione di traino solidale della Penisola». Le parole di Bonomi possono essere accettate o respinte, confutate o confermate e, insomma, discusse come si fa con tutte le scelte o strategie proposte per risolvere problemi pratici.

Paolo Grassi, ad esempio, nell’editoriale pubblicato martedì lo ha fatto e ha sollevato un rischio serio e già evidente ossia che mentre il Nord potrebbe ricevere interventi in grado di rilanciare l’economia, il Sud invece potrebbe solo essere «accontenta­to» con il reddito di cittadinan­za e così restare ancora una volta fermo al palo. D’altra parte, Luca Bianchi ha messo in luce l’esigenza di non pensare il Nord e il Sud come isolati e sganciati, mentre Costanzo Jannotti Pecci pur consideran­do l’unità ha posto l’accento sulle differenze e sull’utilità di politiche specifiche. Tutto legittimo.

Ma c’è una cosa che non può essere fatta: rispondere ad una proposta pratica con una sorta di dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo come ha invece fatto Pino Aprile mettendo il Nord e il Sud l’un contro l’altro disarmati, rispolvera­ndo ancora una volta la tesi dello Stato sorto da un «genocidio negato» e citando perfino lo sterminio del popolo armeno.

L’idea che il Sud è rimasto indietro perché è sempre vittima di un complotto ora degli inglesi, ora della borghesia settentrio­nale, ora degli europei è essa stessa antimeridi­onale. I problemi del presente hanno la loro faticosa soluzione nella vita presente e non nella storia passata. La storiograf­ia ci aiuta a comprender­e noi stessi e il passato ma non ci dirà mai cosa dobbiamo fare ora e adesso, a meno che non si vada in cerca di alibi e colpevoli che sono tutte scorciatoi­e che, come sempre, conducono fuori strada. La cosa più seria e più importante che il Mezzogiorn­o con la sua classe dirigente attuale - politici, imprese, giornalist­i - può fare è liberarsi una buona volta dell’alibi del complotto e della sindrome di Francesco II: l’ultimo re delle Due Sicilie che perdette il Regno pensando di essere vittima di un complotto mentre era solo inadeguato ai problemi della storia che viveva.

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