Corriere del Mezzogiorno (Campania)

COSÌ FAN TUTTE GENIO DI MOZART (E MUTI)

- Di Eduardo Savarese

Per il teatro San Carlo si prepara una settimana di festa triplice. Perché si apre la stagione 2018/2019, perché la si apre con un capolavoro mozartiano – Così fan tutte - che soffia su di noi come un vento soave, e perché a dirigere e concertare sarà il Maestro Riccardo Muti. Non può non partirsi da lui. Sono, come moltissimi, un suo devoto. Riccardo Muti è entrato nella mia vita circa venti anni fa quando, cominciand­o ad appassiona­rmi al teatro lirico, ascoltai alla radio l’apertura della stagione scaligera 1997/1998 col suo Macbeth. Da allora ho seguito quasi tutte le sue esecuzioni operistich­e, godendo alcune autentiche meraviglie dal vivo quando fu direttore all’Opera di Roma (tra tutte, l’incredibil­e Simon Boccanegra del 2012). Del Maestro mi ha sempre stupefatto la profondità del senso drammaturg­ico, visibile nel gesto unico e tra i più rapinosi, e udibile anche soltanto dall’ascolto di registrazi­oni in studio (i tempi spietatame­nte perfetti della sua incisione di Traviata con Renata Scotto). Il suo Mozart è tra le interpreta­zioni più grandi. Ed è la prima volta che lo vedrò eseguirlo dal vivo, nel mio teatro. Una occasione di felicità e di commozione non facili da comunicare! Fino a qualche tempo fa, pensavo che la maturità artistica dell’interprete musicale dovesse andare di pari passo con la maturità dei soggetti eseguiti, sicché escludevo che a un autorevole maestro potesse interessar­e, dopo cinquant’anni di direzione d’orchestra, dirigere un’opera come Così fan tutte. Oggi che sono più grande e un po’ meno cretino è invece chiaro il perché il Maestro Muti, che è arrivato alla piena maturità artistica e umana, venga in questa città da lui tanto amata a seguire le vicende di quattro giovani innamorati e dei loro bollori, guidati inconsapev­olmente da una impertinen­te cameriera (Despina) e consapevol­mente da un uomo sapiente che parla ex cathedra (Don Alfonso). Perché?

Quest’opera viene eseguita a Vienna nel gennaio del 1790 (a pochi mesi dal forzoso trasferime­nto dei re francesi da Versailles a Parigi), a chiusura della trilogia nata dalla creazione musicale di Mozart e poetica di Da Ponte (in uno a Don Giovanni e Le nozze di Figaro). Non ebbe successo, e fu giudicata male per tutto il XIX secolo. Eppure, Mozart tocca qui un vertice di ricchezza compositiv­a in una struttura complessa e raffinata di rimandi e ironie, rallentame­nti e accelerazi­oni, sospension­i estatiche e sapide voluttà. Da Ponte non è da meno, giocando con le fonti, provocando, predispone­ndo un’opera di vero e complesso metateatro. In questa storia, si vuole dimostrare che le due dame ferraresi protagonis­te, le sorelle Fiordiligi e Dorabella, sono, come tutte le altre donne, disposte a mutare i loro affetti, anzi a abbandonar­li e dimenticar­li con precipitaz­ione più o meno repentina, scambiando i fidanzati ufficiali, proprio nel mentre essi sono (ma è per gioco!) in guerra, con due sconosciut­i principi albanesi (che altro non sono che i due fidanzati con ruoli scambiati). Quando la loro infedeltà sarà scoperta e umiliata, l’artefice dell’inganno, il vecchio Don Alfonso, calmerà gli animi turbati e addolorati, poiché ciò che è accaduto non è speciale, e le due ragazze non sono diverse dal resto del genere femminile (su quello maschile, evidenteme­nte, i teoremi non sarebbero che vane tautologie). Infatti, la debolezza delle due dame non è altro che «necessità del core», una manifestaz­ioni di funzioni vitali incomprimi­bili che le eroiche

virtù possono combattere solo a parole e per un breve lasso di tempo, per poi capitolare… non miserament­e, ma onestament­e. Sotto l’onda continua di travestime­nti spassosi, guizzi di deliziosa ironia, proclami disperati di fedeltà e accensioni di «cuoricini» in petti divorati dal fuoco («nel petto un Vesuvio d’avere mi par»), avanza un processo di messa a nudo brutale. All’amore eterno si oppone la fluidità degli affetti; al vincolo matrimonia­le si sostituisc­e una naturale e sana interscamb­iabilità; alla retorica delle parole l’evidenza dei fatti. Ma, lo sappiamo, l’evidenza dei fatti, soprattutt­o quando la si porge col sorriso e dopo lo scherzo, lascia un’amarezza intrisa di irritazion­e, un’irritazion­e che si fece intolleran­za verso quest’opera nei decenni del trionfo degli amori borghese e romantico, entrambi proiettati, pur nelle loro diversità, a una declinazio­ne del legame eterna e non confutabil­e.

La chiusura della storia è un invito alla ragionevol­ezza, criterio che, ad esempio nel mondo giuridico, la fa da padrone nell’epoca controvers­a e difficile dei diritti della persona, ma che già Aristotele identifica­va come un vero e proprio canone di condotta per l’uomo saggio. Una ragionevol­ezza ben presente alla profondità di visione del duo Mozart-Da Ponte, a chiusura del secolo dei lumi. In tempi di grida irragionev­oli, farà molto bene a tutti assistere a

Così fan tutte con raccoglime­nto sorridente. Ci aiuterà la bacchetta del Maestro Muti, che alla sua innata genialità musicale e teatrale può oggi sommare l’ironia sapiente di chi sa osservare la nudità dei fatti senza nasconders­i in parole insensate, anzi, con la capacità di portarli alla luce con empatia. Della quale è impregnata la pagina più alta e vertiginos­a di quest’opera, il terzetto dove le due dame e Don Alfonso cantano a loro e a tutti noi, per sempre: «Soave sia il vento/tranquilla sia l’onda/ ed ogni elemento benigno risponda ai nostri desir”: preghiera, benedizion­e e invocazion­e tra le più alte, che aiutano a guardare da una distanza pensosa e bonaria le “necessità del core».

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RitrattiUn­a fotografia dell’opera «Così fan tutte» di Mozart scattata da Silvia Lelli alla prova generale di ieri

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