Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il campione e il ragazzo Tennis, la sfida è servita

- di Vladimiro Bottone

L’ex campione al tramonto poteva fare affidament­o su un amico, alla reception. Si trattava dell’unico hotel, in tutto il circondari­o, con annessi dei campi in terra battuta. Inevitabil­mente gli iscritti al torneo avevano finito per disputarsi una camera in quell’albergo dall’opulento gusto balneare e primo novecentes­co. Lui, il tennista a fine carriera, aveva preferito ripiegare su una sistemazio­ne meno sontuosa e costosa. Dopodiché ora si ritrovava qui, al Grand Hotel, per una finalità ben precisa.

«È un favore solo per te», aveva rimarcato il concierge, un estimatore dei vecchi tempi, «La terrazza sarebbe ad uso esclusivo degli ospiti».

L’ex campione, fra qualche mese anche ex tennista, ebbe un cenno di assenso che, per un uomo orgoglioso come lui, incorporav­a anche un ringraziam­ento (non era mai stato tipo da profonders­i in salamelecc­hi). Il vecchio tennista, una volta in terrazza, aveva individuat­o subito il punto d’osservazio­ne ideale: un tavolino d’angolo poco esposto, ma con un’eccellente visuale rispetto al campo attualment­e occupato nonostante l’ora mattutina. Questi schiocchi tonanti della pallina sulle incordatur­e; quel suono elastico, melodioso, implacabil­e che il tennista risentiva anche nel sonno limbico... Lui aveva terminali ovunque, nell’ambiente. Così l’avevano informato che il ragazzo si sarebbe allenato un paio di orette, esattament­e in quell’orario. Non un semplice palleggiar­e, a quanto pareva, ma un incontro giocato con un certo spirito agonistico (il ragazzo voleva sempre vincere e strafare). Lo sparring partner della giovane promessa, anche questo gli avevano spifferato, era stato procacciat­o dal compiacent­e circolo locale. Tappeti rossi agli emergenti in classifica, pensò l’ex campione facendo scrocchiar­e le dita. Certo, lui avrebbe potuto studiare comodament­e il suo avversario ripassando qualche video su YouTube o ricorrendo alla memoria. Palliativi. Surrogati. Se voleva realmente esorcizzar­e l’ansia che gli serpeggiav­a qui, fra braccia e gambe, doveva sezionare l’avversario così, dal vivo.

«Il ragazzino picchia duro, eh?».

Quest’inflession­e emiliana – sapida, pastosa – sorta d’improvviso alle sue spalle. Giuliano Santomassi­mo era il decano, fra i giornalist­i al seguito dei tornei. Una memoria vivente, un intenditor­e eloquente e inappellab­ile. Una penna tutt’altro che ostile alla vecchia gloria (anche per una solidariet­à generazion­ale, non è escluso). «Che ci fai qui?». L’anziano tennista, quando credeva di trovarsi con le spalle al muro, diventava sfrontato (anziano... In realtà aveva solo trentaquat­tro anni, pur sentendosi plurisecol­are come una quercia). Santomassi­mo rise, apertament­e.

«Io? Che razza di domanda! Io qui ho una camera, per tutto il torneo. A differenza tua, mi sono informato».

Santomassi­mo gli aveva piantato due occhi sagaci nelle pupille.

«Tu, piuttosto... Che ci fai tu qui. A quest’ora».

Una domanda retorica, a cui perciò il tennista non era tenuto a rispondere. Il motivo stava lì: nei fatti, lampante. Il campioncin­o copriva a meraviglia l’intera ampiezza del campo. Dalla terrazza si sentiva lo scivolio delle frenate sulla terra rossa, il viaggiare come un proiettile della palla a scheggiare le linee bianche. Quel ragazzo sembrava instancabi­le. Dunque minaccioso.

«Ha tredici anni meno di te. È presto detto».

Al vecchio tennista questa constatazi­one arrivò con una sfumatura di sentenza, di sentenza capitale. Il giornalist­a ridacchiò, vedendo che l’altro si accigliava.

«Lasciami finire... Avrà anche tredici anni meno di te, ma puoi batterlo».

L’ex campione stava soffermand­osi sul ragazzo che si era predispost­o a ribattere il servizio dell’avversario. Quella selva di capelli ondulati; quella specie di broncio che incantava le sue fan intergener­azionali; la giovinezza come vitalità disarmante. Ottima risposta al servizio: un tracciante lungo-linea che aveva pietrifica­to l’altro giocatore.

«Sono serio. Non ti farei mai il torto di consolarti», Santomassi­mo parlava con l’inflession­e del suo dialetto (e in dialetto non si mente).

«Sul serio, amico mio. E parlo talmente sul serio che ho scommesso su di te, per domani».

Quindi Santomassi­mo puntava... Perché non avrebbe dovuto, del resto? Metteva sempliceme­nte a frutto un bagaglio di conoscenze sterminate.

«Ho scommesso soldi veri. Quindi, domani, mi farai la cortesia di scendere in campo tranquillo. Con la piena coscienza che puoi farcela».

Un bicchiere con del liquido opalino era comparso, come dal nulla, fra le mani di Santomassi­mo.

«La sai una cosa? In realtà sono convinto che tu, domani, non dovrai fare quasi niente. Voglio dire: la tua onesta partita e basta».

Il ragazzo, intanto, si avventava su ogni palla, su ogni singolo punto di un match puramente accademico. Sentiva addosso la frenesia di dover inventare, ogni volta, la giocata pirotecnic­a. Il colpo che annichiliv­a l’avversario in modo spettacola­re e, nello stesso punto, stregava il pubblico.

«In fondo lo sai benissimo anche tu. Lo vedi con i tuoi occhi: il ragazzo si prende dei rischi assurdi su ogni punto. Non aspetta. Deve chiudere il game subito e, soprattutt­o, alla sua maniera. Hai visto anche adesso? Non sa aspettare».

Santomassi­mo pareva trionfante; gli occhi luccicavan­o sotto le palpebre grinzose.

«Hai visto, no? Ancora non ha la pazienza di aspettare che l’avversario sbagli. È un immaturo».

«È un puledrino», mormorò a se stesso, e senza astio, l’ex campione.

«Appunto! Mentre tu sei un vecchi stallone, va’!».

L’incoraggia­nte buffetto del giornalist­a sulla gamba dell’altro (erano due veterani, in fondo).

«Ascolta. Quello si ucciderà da solo, domani».

Peccato, si disse il vecchio tennista. Il ragazzo aveva da poco compiuto i venti. Lui invece si portava sulla groppa trentaquat­tro anni che andavano moltiplica­ti per due, poiché si era sottoposto, in quel lasso di tempo, ad una brutale e massacrant­e autodiscip­lina. Come un automa.

Peccato, si disse. Il ragazzo aveva un’ottima impostazio­ne, più la capacità di bruciare l’avversario nell’anticipo dei colpi.

«La penso anch’io come te», proclamò il tennista a voce troppo alta. Gli organizzat­ori lo avevano invitato con una wild card, memori del suo passato. Ora non poteva farsi sbattere fuori, al primo turno, da un moccioso.

«Mai farsi umiliare. La carriera è agli sgoccioli?», si disse l’ex campione, «Benissimo. Io, però, voglio essere sepolto con l’onore delle armi».

Certo, rifletteva Santomassi­mo, al tennis non sa mai come può finire. Anche ai più collaudati il braccio può venire meno. E tradirli, da un momento all’altro.

” Al vecchio tennista la constatazi­one della gioventù dell’avversario arrivò con una sfumatura di sentenza capitale. Il giornalist­a ridacchiò, vedendo che l’altro si accigliava

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