Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Borghesia subalterna alla camorra Non c’è la giusta rivolta civica»
Il procuratore capo: «La corruzione è lo strumento di espansione dei clan». Affari immobiliari
Esiste una camorra «bassa», con organizzazioni criminali che hanno per statuto il controllo di mercati tradizionalmente illegali e fanno ricorso a uomini e donne che vengono prelevati dagli strati sociali più bassi.
Poi c’è un’altra camorra, più «alta», che è costituita «dal ceto delle professioni, che coltiva l’illusione di non avere nulla a che fare con l’altra camorra e invece è estremamente impegnata in riciclaggio, per esempio nella gestione del mercato immobiliare a Napoli con case con prezzi che neanche a Manhattan, nel condizionamento delle scelte urbanistiche». Il capo della Procura partenopea Giovanni Melillo, non usa mezzi termini per spiegare i fenomeni criminali che si vivono nella città, che da una parte è succube a causa di azioni eclatanti volute dalla criminalità spietata che uccide e spara tra la folla, e un’altra nascosta che fa affari e ricicla milioni nel silenzio. «La borghesia napoletana è subalterna alla camorra - dice Melillo - Mi dispiace usare espressioni forti, ma se c’è un dato che colpisce in questa città è la dimensione ristretta dei movimenti di opinione, dell’associazionismo civile, dei movimenti politici che facciano del ripudio di queste logiche, la propria ragione d’essere».
L’occasione è l’incontro pubblico al «Pan» organizzato dall’associazione culturale VivoANapoli con il presidente Emilia Leonetti e il vice Giulio Maggiore. «A Napoli c’è una diffusa apatia che a volte è generata dall’indifferenza, dal timore, o dal convincimento di essere impotenti e che contribuisce a restringere gli spazi di vita democratica, di libertà, gli spazi di vita civile e porta la perdita dei nostri giovani che vogliono andare via», dice Melillo che poi affonda. «Il problema criminale in questa terra è un problema di pulsione eversiva delle classi dirigenti, l’insofferenza alle leggi delle classi politiche e dirigenziali. Della loro propensione a delinquere che si esprime grazie a una condizione di debolezza delle istituzioni pubbliche del Sud e di questa città, con vuoti che vengono occupati dalla criminalità».
Quale allora la possibilità di risposta dei cittadini che non vivono nell’illegalità? «Organizzare una domanda politica a cui corrispondono scelte capaci di invertire il senso di marcia». Quella della corruzione e della commistione di affari tra borghesia e camorra è un dato che a Napoli è più difficile da cogliere rispetto a tutto il resto del paese. «Venticinque anni fa la commissione antimafia fece una relazione sul rapporto tra politica e camorra parlò di immedesimazione tra strutture politiche e burocratiche e strutture criminali - dice il vertice della Procura - A me sembrò eccessiva come frase e invece adesso devo dire che alla luce di quello che ho visto, letto e scritto, è un giudizio largamente giustificato dai fatti». In Campania ci sono comuni sciolti per camorra, come a Giugliano, la terza città della regione sciolto due volte. «Il controllo delle amministrazioni comporta il controllo del mercato dell’edilizia legale e quello illegale per la capacità di condizionarne i controlli. Tenere in mano un comune è controllarne i fondi che arrivano». Ma allora cos’è la corruzione, così come vissuta dalla borghesia napoletana? «È lo strumento principe dell’organizzazione criminale che procura amici, moltiplica le opportunità. Un ordinario strumento di espansione delle organizzazione criminale e dei loro interessi». Non esistono imprese camorristiche e legali, che rispondono a leggi diverse, perché sono esattamente uguali, hanno stesse consulenze, «la differenza sta nella titolarità degli interessi economici di quelle imprese». Gli fa eco Isaia Sales che racconta di una corruzione diversa a seconda della posizione geografica.
«Al nord è un espediente di mercato, sembra a dominio imprenditoriale. A sud invece è a egemonia criminale con quella delle borghesie che usano imbrogli». All’incontro era presente anche il sindaco Luigi de Magistris che ha raccontato della sua esperienza da pm a Catanzaro: «Non avevo paura dei proiettili, della malavita, delle lettere di minacce ma di una parte dello Stato che ha deciso di cacciarmi e voltarmi le spalle perché ho iniziato a indagare sulla borghesia mafiosa».
Mancano movimenti politici che facciano un ripudio di queste logiche