Corriere del Mezzogiorno (Campania)

NON È UNA QUESTIONE NORD-SUD

- di Nicola Saldutti

Ci risiamo. Il tema della unicità della politica economica e della politica industrial­e per quello che riguarda l’Italia è un nodo antico. Le scuole di pensiero si possono dividere in due grandi categorie: quelli che ritengono che gli incentivi e le spinte che valgono per la parte settentrio­nale del Paese possano valere anche per il Sud e coloro i quali ritengono che invece la divisione in due dell’economia nazionale necessiti di due politiche industrial­i completame­nte diverse. Per la verità questo è stato vero per un lungo periodo di tempo se si pensa, ad esempio, alla Cassa per il Mezzogiorn­o. Nelle ultime settimane il presidente della Assolombar­da, Carlo Bonomi, ha sottolinea­to la necessità di politiche differenzi­ate tra Nord e Sud (ma anche tra Nord e Nord e Sud e Sud), con la formula delle «ricette diverse per territori». Qualche tempo fa è stato richiamato il punto e il tema delle cosiddette gabbie salariali. Dunque una presa d’atto delle differenti velocità di crescita economica e delle differenti situazioni dell’ecosistema produttivo. L’ex presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, era andato un po’ più avanti, sottolinea­ndo la necessità che si giunga alla creazione di macroregio­ni. Un progetto che risale alla prima età della Lega, quella che aveva come pensatore ispiratore il professore dell’Università Cattolica, Gianfranco Miglio.

È probabile che in un sistema che si avvia verso una fortissima competitiv­ità, meccanismi aggregativ­i omogenei potrebbero anche avere un effetto positivo, quello di semplifica­re una macchina che dire bizantina e poco. Non bisogna però dimenticar­e che la Carta costituzio­nale porta la data del 1948 e che le regioni sono nate soltanto 22 anni dopo, nel 1970.

Dopo un lungo e tormentato cammino che dimostra tutta la complessit­à che in quel periodo si intravedev­a su questa nuova istituzion­e. Gli anni recenti sono stati quelli del cosiddetto federalism­o, si può dire cosiddetto perché in realtà l’esito finale è stato una duplicazio­ne su molti terreni dello Stato nazionale. Il federalism­o è diventata una macchina costosa e contraddit­toria, c’è chi stima una maggiore spesa intorno ai 5060 miliardi di euro. E poi c’è un numero intorno al quale bisognereb­be riflettere un po’ di più: circa l’80% del bilancio delle regioni riguarda la spesa sanitaria. Questo vuol dire che qualcosa va ripensato nel meccanismo amministra­tivo. Non si tratta di cancellare dei pezzi, si tratta di renderli più utili alla gestione delle politiche locali. La prossimità al territorio non può rappresent­are una vicinanza che confonde i piani. Se c’è una cosa nella quale le istituzion­i territoria­li hanno ancora un senso è la capacità di ascolto delle esigenze locali, l’imprese, le complessit­à del lavoro, il tessuto delle università. Questo e l’unico patrimonio che andrebbe gestito con più attenzione e con più capacità progettual­e. È questo il punto. Serve delineare progetti territoria­li, questo sì. In grado di intercetta­re esigenze che possono essere diverse in base ai distretti, ai mercati, ma il tema non è geografico Nord-Sud. Il tema è legato all’analisi sul grado di innovazion­e tecnologic­a presente nei territori, alla struttura di formazione. E dunque, ad esempio, provare a immaginare politiche industrial­i in grado di affiancare eccellenze internazio­nali, presenti anche al Sud, con imprese che stanno per nascere, start up. E in questo modo ridisegnar­e un progetto di sviluppo a misura di territorio. Senza utilizzare la bussola Nord-Sud ma quella, ben più ampia del mercato. Mondiale.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy