Corriere del Mezzogiorno (Campania)
NON È UNA QUESTIONE NORD-SUD
Ci risiamo. Il tema della unicità della politica economica e della politica industriale per quello che riguarda l’Italia è un nodo antico. Le scuole di pensiero si possono dividere in due grandi categorie: quelli che ritengono che gli incentivi e le spinte che valgono per la parte settentrionale del Paese possano valere anche per il Sud e coloro i quali ritengono che invece la divisione in due dell’economia nazionale necessiti di due politiche industriali completamente diverse. Per la verità questo è stato vero per un lungo periodo di tempo se si pensa, ad esempio, alla Cassa per il Mezzogiorno. Nelle ultime settimane il presidente della Assolombarda, Carlo Bonomi, ha sottolineato la necessità di politiche differenziate tra Nord e Sud (ma anche tra Nord e Nord e Sud e Sud), con la formula delle «ricette diverse per territori». Qualche tempo fa è stato richiamato il punto e il tema delle cosiddette gabbie salariali. Dunque una presa d’atto delle differenti velocità di crescita economica e delle differenti situazioni dell’ecosistema produttivo. L’ex presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, era andato un po’ più avanti, sottolineando la necessità che si giunga alla creazione di macroregioni. Un progetto che risale alla prima età della Lega, quella che aveva come pensatore ispiratore il professore dell’Università Cattolica, Gianfranco Miglio.
È probabile che in un sistema che si avvia verso una fortissima competitività, meccanismi aggregativi omogenei potrebbero anche avere un effetto positivo, quello di semplificare una macchina che dire bizantina e poco. Non bisogna però dimenticare che la Carta costituzionale porta la data del 1948 e che le regioni sono nate soltanto 22 anni dopo, nel 1970.
Dopo un lungo e tormentato cammino che dimostra tutta la complessità che in quel periodo si intravedeva su questa nuova istituzione. Gli anni recenti sono stati quelli del cosiddetto federalismo, si può dire cosiddetto perché in realtà l’esito finale è stato una duplicazione su molti terreni dello Stato nazionale. Il federalismo è diventata una macchina costosa e contraddittoria, c’è chi stima una maggiore spesa intorno ai 5060 miliardi di euro. E poi c’è un numero intorno al quale bisognerebbe riflettere un po’ di più: circa l’80% del bilancio delle regioni riguarda la spesa sanitaria. Questo vuol dire che qualcosa va ripensato nel meccanismo amministrativo. Non si tratta di cancellare dei pezzi, si tratta di renderli più utili alla gestione delle politiche locali. La prossimità al territorio non può rappresentare una vicinanza che confonde i piani. Se c’è una cosa nella quale le istituzioni territoriali hanno ancora un senso è la capacità di ascolto delle esigenze locali, l’imprese, le complessità del lavoro, il tessuto delle università. Questo e l’unico patrimonio che andrebbe gestito con più attenzione e con più capacità progettuale. È questo il punto. Serve delineare progetti territoriali, questo sì. In grado di intercettare esigenze che possono essere diverse in base ai distretti, ai mercati, ma il tema non è geografico Nord-Sud. Il tema è legato all’analisi sul grado di innovazione tecnologica presente nei territori, alla struttura di formazione. E dunque, ad esempio, provare a immaginare politiche industriali in grado di affiancare eccellenze internazionali, presenti anche al Sud, con imprese che stanno per nascere, start up. E in questo modo ridisegnare un progetto di sviluppo a misura di territorio. Senza utilizzare la bussola Nord-Sud ma quella, ben più ampia del mercato. Mondiale.