Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Litorale Domizio, una «nuova Bagnoli»
Inchiostro, la testata della scuola di giornalismo di Suor Orsola Benincasa (www.inchiostronline.it) ha dedicato il suo primo numero di quest’anno interamente al litorale domizio. E tornerà sull’argomento anche nel prossimo. Perché tanto interesse? Semplicemente, perché sia io che ne sono il direttore sia i giovani praticanti che ne compongono la redazione ci siamo resi conto che lì qualcosa sta succedendo. Qualcosa di simbolico che assomiglia molto a una sfida.
Abbiamo deciso dunque di raccontarla con servizi, interviste e anche con uno speciale reportage fotografico. E soprattutto con la incontaminata curiosità di giovani inviati alla loro prima prova sul campo. Oggi, dopo aver visto Il vizio della speranza, questa sfida potrei sintetizzarla così. Da un lato c’è Edoardo De Angelis, il regista del film interamente girato sul litorale domizio. Dall’altro c’è Andreas Kipar, l’archistar a cui la Regione ha assegnato il compito di ridisegnare l’intera area. Io, pur apprezzando molto De Angelis, spero molto che vinca il secondo, specialmente dopo aver letto l’intervista che ci ha rilasciato per il prossimo numero. Ora proverò a spiegare perché.
Sembra quasi un’aggravante geografica, ma è un dato di fatto. Per noi napoletani, il litorale domizio comincia a Ovest di Bagnoli, oltre il golfo di Pozzuoli. E se a proposito di Bagnoli molto si è detto e poco si è fatto, cosa ne sarà di quella striscia di costa che dai Campi Flegrei arriva fino al Garigliano? Se della vicenda dell’ex area Italsider ci sono noti tutti i passaggi tecnici e politici; se per i tanti piani di riconversione di questo sito ci siamo accapigliati e appassionati per oltre un quarto di secolo, cosa ne sarà, dicevo, del litorale di cui ancora troppo poco si parla? Potranno mai, i 75 chilometri su cui insistono 14 comuni da Monte di Procida a Sessa Aurunca, rinascere davvero? La risposta è no. E lo dico nonostante riconosca che la speranza sia un utile vizio, come racconta De Angelis. Se non costituirà una priorità nel dibattito pubblico napoletano e regionale, infatti, il litorale domizio non diventerà mai nulla. Neanche «la nostra riviera rozio, magnola», come sogna De Luca, e sempre che sia davvero questo il modello da imitare. A determinare la svolta non basterà il masterplan -cioè un’intenzione progettuale - presentato a febbraio e affidato a un architetto il cui motto è «la natura deve riconquistare la città». Il masterplan è però un buon ini- e sarebbe un grave errore, ora, lasciarlo esclusivamente nelle mani degli addetti ai lavori. Una discussione allargata a un fronte più ampio, poi, potrebbe forse aiutare anche quella ormai stanca sulla stessa Bagnoli e su tutti gli altri siti campani da bonificare a Est di Napoli, a cominciare dall’area industriale fino al fiume Sarno, passando per il litorale vesuviano. A proposito: si è mai fatta una discussione così? Così geograficamente compatta e unitaria?
Negli anni del boom economico il litorale domizio era un paradiso di spiagge, pinete e stabilimenti balneari. Poi tutto ha cominciato a girare storto: la speculazione edilizia, la devastazione del dopoterremoto, la criminalità organizzata, i depuratori in perenne avaria, e infine anche un’immigrazione fuori controllo. È così che le acque del Volturno sono diventate sempre più limacciose e il mare, da prospettiva sull’infinito, si è trasformato in un mostro che mangia la costa. Proprio come nei film di Matteo Garrone, Guido Lombardi e Edoardo De Angelis. Il litorale, ecco il punto, piace molto ai registi. È il set ideale per film dai toni lividi e dalle storie estreme, in cui più dei personaggi parlano i paesaggi, i terreni fangosi, i rifiuti portati dall’uomo e dalle onde. Tutto secondo il sacro insegnamento di Eisenstein che invitava a rendere espressivo il contesto. «Ne parlava nel saggio La natura non indifferente», spiega a Inchiostro Arturo Lando, sociologo della comunicazione. Ma il fatto è che l’amore dei registi per il litorale sta dando forma a una vera e propria estetica del degrado. In questo senso, comincia a diventare un’arma a doppio taglio. I Garrone, i Lombardi e i De Angelis frugano tra le macerie di Castel Volturno come Piranesi tra le «parlanti rovine» di Roma. Usano la telecamera come un bulino. Incidono non sul rame ma sull’immaginario. E questo è molto coinvolgente. Il rischio, tuttavia, è che in modo indiretta si finisca per cristallizzare una realtà di rovine, di coltivarne già la nostalgia, mentre ciò che serve non è una scenografia ma un nuovo paesaggio. Dopo le storie, insomma, ora il litorale ha bisogno di progetti. Dopo i registi, servono gli architetti. E più di idee «volanti» (il sindaco di Mondragone sogna una funivia che dal costruendo porto arrivi fino al trentesimo piano di un grattacielo-albergo) c’è urgenza di alternative concrete alla devastazione ambientale. «Con il masterplan del litorale domizio-flegreo, la Campania potrebbe costituire il laboratorio sulle infrastrutture verdi del Sud Italia», dice Kipar. Il quale, per altro, non parla di modello Rimini o di scenari da riviera romagnola, ma più prudentemente di «paesaggi produttivi», secondo i princìpi della green landscape economy, che poi sarebbe un’economia legata al territorio e alla sua riqualificazione. Cioè di paesaggi fatti di verde, cultura e turismo. Il che è molto più rassicurante. Forza Kipar, allora. Con la speranza che anche il suo non si riveli, alla fine, solo un film d’autore.
Kipar
«La Campania potrebbe farne il vero laboratorio sulle infrastrutture verdi»