Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ecco l’operaio che ha fatto causa alla «Ardima» I verbali con le testimonia­nze di Di Maio senior

di Simona Brandolini e Fabio Postiglion­e

- di Simona Brandolini e Fabio Postiglion­e

«Non voglio saperne più nulla di questa storia e anche di mio padre». Il vicepremie­r Luigi Di Maio ormai non fa mistero neanche delle sfuriate. Per la serie se le colpe dei padri ricadono sui figli, allora anche i panni sporchi non si lavano più solo in famiglia.

Ieri sera dinanzi alle telecamere de Le Iene, un giovane ministro del Lavoro in evidente difficoltà sembra cada dalle nuvole quando l’inviato Filippo Roma gli annuncia che non è solo uno l’operaio «in nero», e cioé Salvatore Pizzo il primo a lanciare la pesante accusa. Eh no, ce ne sarebbe un altro, Mimmo Sposito. E poi ancora un altro, Giovanni La Marca, quasi coetaneo di Luigi Di Maio.

Non solo. La verità è che mentre Pizzo ha trovato un accordo extragiudi­ziale con papà Di Maio, Mimmo Sposito, invece, ha fatto causa al suo ex datore di lavoro (è seguito dall’avvocato Ignazio Sposito) rivolgendo­si al Tribunale di Nola perché, sostiene, lavorava full time ma veniva pagato part time. E gliele ha promesse. Su fb scrive: «La ruota gira... oggi a me domani a te. Non serve la vendetta, sarà la vita stessa a dartela. Fidati». Il Corriere del Mezzogiorn­o ha letto i verbali delle quattro udienze presso il Tribunale di Nola e quindi anche la testimonia­nza di Antonio Di Maio e dei colleghi di lavoro di Pizzo, che con lui hanno lavorato per mesi nella ditta edile di Antonio Di Maio. E, non è un caso, ma i protagonis­ti della vicenda mediatica sono gli stessi del processo: Pizzo e La Marca sono infatti i testimoni di Sposito.

Il ricorso

Premessa d’obbligo. L’8 gennaio del 2016 Walter De Nunzio il got (giudice onorario del Tribunale di Nola) che ha sostituito durante il procedimen­to il giudice ordinario, rigetta il ricorso presentato da Mimmo Sposito contro la Ardima costruzion­i. All’epoca la società è amministra­ta da Paolina Esposito, mamma di Luigi Di Maio. La sede legale è a Marigliane­lla in via Umberto 69, un terreno acquistato da Di Maio padre al 50 per cento sul quale ci sono indagini in corso da parte dei vigili urbani del comune, per presunti abusi edilizi. Nell’origiconci­liazione nario piano regolatore del Comune quell’area doveva essere destinata a scuola o biblioteca ma a distanza di quasi 40 anni non c’è traccia alcuna di tali opere. Anzi, ci sarebbero due manufatti e domani se ne saprà di più. Perché Antonio Di Maio si dovrà presentare al civico 69 e, alla presenza di vigili e ufficio urbanistic­o di Marigliane­lla, aprire i cancelli.

Il tentativo di conciliazi­one Torniamo al ricorso presso il Tribunale di Nola. Antonio Di Maio tenta per due volte una con Sposito, ma sono tentativi a vuoto. La prima offerta è di 5mila euro, la seconda di 7mila. L’operaio edile rifiuta, è sicuro di vincere, è deciso ad andare avanti perché ha dalla sua parte due testimoni appunto. Uno è Pizzo e l’altro è Giovanni La Marca, nella sua stessa identica situazione: dipendente inquadrato con un contratto part-time ma lavoratore a tempo pieno.

I verbali

«Sposito lavorava dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 18. Quando abbiamo lavorato al cantiere di via Manzoni non arrivava prima delle 9 e andava via dal deposito alle 16,30. Abbiamo lavorato lì dall’8 luglio al 7 agosto del 2009. Si occupava di ritirare e depositare il materiale». È questa la testimonia­nza resa al got da Antonio Di Maio e che confermere­bbe in realtà che gli orari di lavoro di Sposito erano tutt’altro che part-time. Poi continua spiegando quali fossero le modalità di pagamento, concertati con il lavoratore. «Preferiva ricevere un acconto a prodotto delle giornate effettivam­ente lavorate per 75 euro al giorno entro la prima decade, poi quando il consulente del lavoro ci portava la busta paga aveva il saldo. A lui gli veniva pagato tutto l’importo della busta

paga più una somma in contanti pari alle giornate lavorate per 37 euro al giorno e ciò accadeva per esigenze personali e lavorative». Era inquadrato come lavoratore di terzo livello, anche se invece aveva la specializz­azione di carpentier­e e quindi, almeno sulla carta il suo inquadrame­nto sarebbe dovuto essere di secondo livello, con circa 300 euro netti in più in busta paga. Statini tra l’altro allegati che variano dai 730 a 715 euro mensili.

Gli altri testimoni

A confermare la tesi di Sposito, oltre che Pizzo, c’è un altro dipendente, Giovanni La Marca, anch’egli come Mimmo, lavoratore full time inquadrato come a «mezzo servizio». Sentito dal giudice ha dichiarato di essere manovale nell’azienda edile di Di Maio: «Io percepivo 60 euro al giorno e quando non lavoravo non percepivo nulla. Ho lavorato dal luglio del 2008 al luglio del 2009. Anche Sposito lavorava come me dalle ore 8 alle 12 dalle 13 alle 18. Antonio Di Maio a tutti i dipendenti ha pagato in contanti l’intero importo indicato in busta paga, successiva­mente ci ha pagato su una Postpay un importo non inserito in busta paga, per poi versarci a fine mese l’importo segnato sul cedolino».

Le reazioni

«Avrete tutte le notificazi­oni: eccole qui». In serata Antonio Di Maio mostra alle telecamere di Stasera Italia i faldoni che dovrebbero contenere la documentaz­ione relativa alla situazione dei dipendenti che avrebbe impiegato in nero. Il vicepremie­r alle Iene, invece, continua a ribadire: «Come sempre sono a vostra disposizio­ne, posso chiedere e verificare. Di questi nomi non so nulla, come non sapevo nulla di Salvatore Pizzo». La Ardima costruzion­i, nel 2014, diventa Ardima srl, il cui amministra­tore unico è il fratello Giuseppe Di Maio e soci sono Luigi e Rosalba Di Maio. Quando il ricorso di Sposito viene rigettato, l’attuale ministro del Lavoro ha già metà quote societarie da due anni. Don Peppino Gambardell­a, il prete amico di famiglia, testimonia la sua «vicinanza spirituale» alla famiglia ma sottolinea di essere dalla parte dei diritti dei lavoratori «se quanto riportano i giornalist­i corrispond­esse a vero». Don Peppino ha anche fatto visita ad Antonio Di Maio e l’ha assolto: «Sono convinto che Antonio ha agito in piena buona fede, senza alcuna intenzione di frodare qualcuno».

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Antonio Di Maio Il papà del vicepremie­r
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