Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Munari l’umanista in mostra al Plart

- Di Stefano de Stefano

Un Bruno Munari nel suo abito migliore di artista, che ha saputo utilizzare le scienze, dalla matematica alla fisica, per sperimenta­re un proprio linguaggio visivo sempre in anticipo sui tempi. Lo ammirerann­o i visitatori napoletani al Plart, organizzat­ore dell’evento insieme al Progetto XXI del Madre a partire da domani sera, in occasione del ventennale della scomparsa del maestro milanese.

Nel Museo della Plastica diretto da Maria Pia Incutti, i curatori Marcello Francolini e Miroslava Hajek hanno raccolto un ciclo di 27 opere che vanno dagli anni ‘30 alla fine degli anni ‘50, con la dovuta eccezione di «Flex», realizzazi­one in plastica del 1968. Ne emerge un percorso significat­ivo dell’evoluzione di questo originale maestro della ricerca percettiva, che ha spaziato dalla pittura alla scultura, dal cinema al disegno industrial­e, dalla grafica alla scrittura, dalla poesia alla didattica e alla pedagogia. Figura, quindi, complessa e neoumanist­ica, qui fissata però nelle premesse fondamenta­li che si sarebbero più tardi riverberat­e in tutti i campi del suo multiforme operare.

La mostra si intitola «Munari. I Colori della Luce» e affronta il percorso che dagli esordi futuristi lo porterà nel dopoguerra a lavorare sulla costruzion­e luministic­a, immaterial­e e quindi ambientale. «Abbiamo diviso – spiega Francolini – l’itinerario in tre fasi cronologic­he: la prima è quella riconducib­ile alle “Macchine inutili” futuriste della fine degli anni ’30, la seconda quella del “Concavo e Convesso” della metà degli anni ’40, e infine la terza dell’ “Ambiente a luce polarizzat­a”, degli anni ‘50, in cui l’opera si smateriali­zza irradiando­si attraverso la luce sulle pareti, prima fissata sul vetrino e poi polarizzat­a». Tutte tappe di un viaggio che partendo dall’idea dinamica del Futurismo, pagina sulla quale Munari in passato ha glissato per evitare facili accostamen­ti alle teorie superomist­iche e nazionalis­tiche di Marinetti poi condivise dal fascismo, delineano sempre più un precorrito­re dell’arte installati­va, insieme ottica e concettual­e. Per esempio come accade con la «Macchina inutile» del 1934, ovvero un guscio di zucca secca, appoggiata su un tripode di bacchette di legno, con parti mobili in alluminio che girando, sospinte dal vento, fanno da sfondo alla sfera rossa. O in «Concavo-convesso», ricostruit­o per l’occasione nella sua completa relazione spaziale, un lavoro che Munari espose per la prima volta nel 1946 a Parigi, ovvero una nuvola fatta con una rete metallica quadrata, sorta di vuoto racchiuso nella sua forma, che rappresent­ò una delle prime installazi­oni nella storia dell’arte italiana, e che tornò dalla Francia piegata e danneggiat­a, e quindi ricostruit­a l’anno dopo. Gli «Ambienti a luce polarizzat­a» sono invece l’approdo conclusivo del percorso, perché giungono finalmente a smateriali­zzare l’oggetto, creando quell’attualissi­ma virtualità, figlia della rotazione di un filtro Polaroid davanti alla lampada della proiezione. La lente polarizzat­a possiede infatti una struttura a cristalli microscopi­ci che funge da filtro per tutte quelle frequenze che non attraversa­no in modo perpendico­lare il materiale. «Un ciclo quello esposto al Plart – conclude Francolini – che definisce meglio, precede o accompagna, i passaggi salienti dell’attività di Munari”. Che nel dopoguerra vanno dalla ricerca cinetica all’Arte programmat­a e al Mac, il movimento di arte concreta fondato con Atanasio Soldati e Gillo Dorfles», che ebbe anche una robusta colonna napoletana formata da Renato Barisani, Renato De Fusco, Guido Tatafiore, Antonio Venditti, Edoardo Giordano e Andrea Bizanzio.

 ??  ?? Opera di Munari
Opera di Munari

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy