Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Borghesia scomparsa, città ferma
La Corte dei conti ha “sospeso” il blocco della spesa del Comune di Napoli. Passa il cerino alla Corte Costituzionale, inviandogli gli atti. Lo spegnerà la Suprema Corte? Vedremo. Non si attenua, però, l’eco del malessere in città che tuttavia non si tramuta in azione. Lo ha descritto bene Marco Demarco nei giorni scorsi nel suo articolo «La rivolta civica non abita qui».
La borghesia napoletana quasi mai s’è ritrovata compatta. Alza le mani agli appelli ma poi con fatica muove le gambe. Ricordiamo tutti la “chiamata” di Giuseppe Galasso, dopo il crollo della Riviera di Chiaia e il rogo della Città della Scienza, alla quale seguì sì un ampio dibattito, un’adesione estesa e convinta, ma non ci fu poi un’azione unitaria e consistente. S’intravide una città senza più forze. D’altronde, la borghesia pure avrebbe qualche obbligo. Dovremmo attenderci un moto consapevole e articolato che vada oltre lo sfogo di pancia. Insomma, all’orizzonte sentiamo il brusio, ma non appare la folla. Eppure, nel corso della storia la borghesia cittadina è stata in grado di osare, più di quella di altre città. Facendo scelte eterodosse, distanti da una normale visione di consorteria. Ha accolto con fiduciosa curiosità esperimenti nuovi. Solo che una volta falliti non ha fatto valere in maniera organica il suo ruolo indispensabile. Come, invece, hanno fatto rumorosamente e con maggiore frutto altre espressioni cittadine, vicine all’attuale amministrazione comunale.
I motivi di questa incapacità di reazione sono annosi. Su tutti, forse, la scomparsa, l’assenza graduale e capillare di un sistema produttivo su cui innervare i muscoli di una borghesia gracile. Anno dopo anno, si sono eclissate realtà produttive importanti nelle quali sorgeva pure uno spirito di impegno civico. La marginalizzazione all’interno del panorama economico nazionale della città di Napoli ha privato, quindi, la classe dirigente cittadina di materia da dirigere. Chi dovrebbe poi canalizzare e disciplinare il malcontento? Non crediamo al solo spontaneismo. I social non bastano, non possono bastare. A Napoli, tra l’altro, leader illuminati non ne vediamo, né possono essere la soluzione. Torino, per restare in paragone, comunque ha un tessuto urbano (post) industriale in grado di far fermentare una sensibilità civica e tradurla in azione politica in senso lato. Napoli non più. La conclusione della vita - anche nel nome - della sua Banca tradizionale è un segnale ineludibile. Agli intellettuali non si riesce a dare una veste fattiva che un tempo almeno era intercettata e alimentata da partiti strutturati. Eppure, essi devono ritrovare il coraggio di occuparsi delle situazioni più complesse.
L’appello sarebbe, quindi, ad alimentare e sostenere opzioni credibili che raccolgano il malessere cittadino e che abbiano fondamento nel dovere civico e nella forza delle idee. Si dice che a suscitare nuove passioni non potranno più essere le culture politiche del passato. Un riavvio che non si improvvisa e che ha bisogno di una vista lunga. In esso hanno un ruolo fondamentale gli intellettuali. Certi che la borghesia cittadina sarebbe poi ben in grado di operare una scelta responsabile, come pure crediamo abbia la capacità di fare.