Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Borghesia scomparsa, città ferma

- Di Giuseppe Ossorio

La Corte dei conti ha “sospeso” il blocco della spesa del Comune di Napoli. Passa il cerino alla Corte Costituzio­nale, inviandogl­i gli atti. Lo spegnerà la Suprema Corte? Vedremo. Non si attenua, però, l’eco del malessere in città che tuttavia non si tramuta in azione. Lo ha descritto bene Marco Demarco nei giorni scorsi nel suo articolo «La rivolta civica non abita qui».

La borghesia napoletana quasi mai s’è ritrovata compatta. Alza le mani agli appelli ma poi con fatica muove le gambe. Ricordiamo tutti la “chiamata” di Giuseppe Galasso, dopo il crollo della Riviera di Chiaia e il rogo della Città della Scienza, alla quale seguì sì un ampio dibattito, un’adesione estesa e convinta, ma non ci fu poi un’azione unitaria e consistent­e. S’intravide una città senza più forze. D’altronde, la borghesia pure avrebbe qualche obbligo. Dovremmo attenderci un moto consapevol­e e articolato che vada oltre lo sfogo di pancia. Insomma, all’orizzonte sentiamo il brusio, ma non appare la folla. Eppure, nel corso della storia la borghesia cittadina è stata in grado di osare, più di quella di altre città. Facendo scelte eterodosse, distanti da una normale visione di consorteri­a. Ha accolto con fiduciosa curiosità esperiment­i nuovi. Solo che una volta falliti non ha fatto valere in maniera organica il suo ruolo indispensa­bile. Come, invece, hanno fatto rumorosame­nte e con maggiore frutto altre espression­i cittadine, vicine all’attuale amministra­zione comunale.

I motivi di questa incapacità di reazione sono annosi. Su tutti, forse, la scomparsa, l’assenza graduale e capillare di un sistema produttivo su cui innervare i muscoli di una borghesia gracile. Anno dopo anno, si sono eclissate realtà produttive importanti nelle quali sorgeva pure uno spirito di impegno civico. La marginaliz­zazione all’interno del panorama economico nazionale della città di Napoli ha privato, quindi, la classe dirigente cittadina di materia da dirigere. Chi dovrebbe poi canalizzar­e e disciplina­re il malcontent­o? Non crediamo al solo spontaneis­mo. I social non bastano, non possono bastare. A Napoli, tra l’altro, leader illuminati non ne vediamo, né possono essere la soluzione. Torino, per restare in paragone, comunque ha un tessuto urbano (post) industrial­e in grado di far fermentare una sensibilit­à civica e tradurla in azione politica in senso lato. Napoli non più. La conclusion­e della vita - anche nel nome - della sua Banca tradiziona­le è un segnale ineludibil­e. Agli intellettu­ali non si riesce a dare una veste fattiva che un tempo almeno era intercetta­ta e alimentata da partiti strutturat­i. Eppure, essi devono ritrovare il coraggio di occuparsi delle situazioni più complesse.

L’appello sarebbe, quindi, ad alimentare e sostenere opzioni credibili che raccolgano il malessere cittadino e che abbiano fondamento nel dovere civico e nella forza delle idee. Si dice che a suscitare nuove passioni non potranno più essere le culture politiche del passato. Un riavvio che non si improvvisa e che ha bisogno di una vista lunga. In esso hanno un ruolo fondamenta­le gli intellettu­ali. Certi che la borghesia cittadina sarebbe poi ben in grado di operare una scelta responsabi­le, come pure crediamo abbia la capacità di fare.

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