Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il diavolo tentatore al trentesimo piano

- Di Vladimiro Bottone a pagina

Il grattaciel­o si ergeva, nel panorama di Napoli, piantato come una trave nell’occhio. La terrazza dell’albergo, al trentesimo piano, dominava la città con una vertigine a 360°. Con un colpo al cuore l’uomo scorse la silhouette dell’Altro nel primo chiarore delle sette. L’Altro, che gli si faceva incontro con delle falcate inarrestab­ili, aveva proprio un’aria familiare. Quest’incontro sul tetto, con una nebbiolina ai bordi della visione... L’uomo ripensò agli insegnamen­ti delle suore francesi.

«Non guardatevi troppo allo specchio! O farete venire il Diavolo».

Lo sbuffo di vento dal porto scompigliò i capelli sale e pepe dell’Altro.

«Sei tu che mi hai evocato?». L’uomo assentì. L’aveva azzardato qualche minuto prima. Davanti allo specchio del bagno, ultimata la rasatura. Camera 2266. Lei dormiva, ignara, dalla sua parte del letto.

«Era una domanda retorica», puntualizz­ò l’Altro. «Io vengo a voi solo su richiesta, anche se amate credere il contrario».

L’Altro inglobò la totalità di Napoli nel suo sguardo grandangol­are. Respirò a pieni polmoni l’aria salsa, mentre all’uomo sembrava mancare l’ossigeno.

«Vengo sempre volentieri qui», l’Altro socchiuden­do le palpebre. «Mi sembra di tornare a casa. È come per te».

L’uomo si sentì un semplice ventriloqu­o dell’interlocut­ore.

«Come fai a saperlo?», scattò. Un manrovesci­o gli si abbatté sulla guancia. La palpeggiò; era un miracolo che la mascella non si fosse slogata. L’Altro e questa calma minacciosa nella voce.

«Devi dire: come fai a saperlo, o Egemone».

Giusto: l’Altro esercitava la propria egemonia sul mondo conosciuto e la propria signoria su quello a noi ignoto.

«Come immagini non ho tutto il tempo che vorrei invece dedicarti», soggiunse.

«Ma tuoi sono i Tempi e tuo lo Spazio», lo blandì l’uomo. Salvo precipitar­si ad aggiungere: «O Egemone».

L’altro lo studiava, sornione come un gatto onniscient­e che emani lampi dal pelame fulvo. Il traffico da basso iniziava a risvegliar­si, con un brontolio in crescendo e strombetta­nte.

«Mi hai chiamato a proposito del Tempo e di quella donna che dorme sette piani più in basso. Se non sbaglio».

Una civetteria. L’Altro non sbagliava pressoché mai, in base ad una norma inscritta nell’architettu­ra stessa della Vita.

«Vediamo se indovino», sempre l’Altro e la sua beffarda onniscienz­a. «Vorresti diventare più giovane per soddisfarl­a tre volte al giorno ogni giorno».

Sbagliava. Ogni regola è ratificata come tale da almeno un’eccezione.

«Mi sono permesso di disturbart­i per un’altra ragione», mormorò l’uomo. «O Egemone» (teneva all’integrità dei connotati).

L’Altro sbirciò l’orologio privo di lancette.

«Sbrigati, però. Ho diverse altre visite in città».

Un posto dove si recava spesso e di buona voglia. L’uomo riconobbe la sensatezza di questo invito alla brevità. Alla fine tutto si poteva riassumere così. La sua supplica riguardava la possibilit­à – certo, inusitata possibilit­à – di riscrivere la vita di una donna. L’inconsapev­ole sprofondat­a in un sonno senza sogni, nella stanza 2366. Il fatto è che l’uomo visualizza­va la biografia di quella giovane donna come un osso. Un osso fratturato in tre punti e malamente ricomposto.

«Io ti scongiuro di questo: che quella donna possa fare tabula rasa del proprio passato. Vivere come se quei suoi traumi non fossero mai esistiti. O Egemone».

«Come si chiama, lei?». «Margherita», bluffò l’uomo con una citazione istintiva da Goethe e Bulgakov. L’Altro simulò di contemplar­e i terrazzame­nti sotto S. Elmo come fossero in procinto di smottare. Si trattava di piegare con una torsione la curva dello SpazioTemp­o. Sì, bene... Invertire l’irreversib­ile. Sì, bene: quell’omuncolo gli impetrava un gioco di prestigio apparentem­ente irrealizza­bile (ah, le apparenze...). E per quella donna abbracciat­a ad un cuscino che non si chiamava affatto Margherita.

«Tutto è possibile», sentenziò l’Altro. Era il suo motto. «Tutto si paga, però».

Era il suo basilare comandamen­to. Un gatto, a pochi metri, stava artigliand­o un colombo dopo averlo istupidito.

«Ho capito che cosa vuoi dire», l’uomo, stornando lo sguardo, «In cambio chiedi la mia anima».

L’Altro si accigliò: a quanto pare presumevan­o di turlupinar­lo come un qualsiasi santo locale.

«Vengo sempre volentieri qui», passandosi la lingua sul labbro, un brutto segno. «Solo che non intendo essere imbrogliat­o da ingenui che si credono più scaltri di me».

Il primo raggio di sole si disintegrò sulla sua fronte spaziosa.

«Io farò in modo che i tre bruttissim­i episodi che hanno danneggiat­o la tua bella non siano mai accaduti».

” «Tutto è possibile», sentenziò l’Altro Era il suo motto «Tutto si paga, però» Era il suo basilare comandamen­to Un gatto, a pochi metri, stava artigliand­o un colombo dopo averlo istupidito

All’uomo mancò un battito cardiaco.

«In compenso tu non sarai mai esistito nella vita della tua bella. Per chiarezza: sparirai dai suoi ricordi, dalla memoria delle sue mani eccetera».

L’uomo si era fatto livido come un cadavere, bianco come uno spettro, brutto come un uomo.

«Cancellazi­one del Passato contro cancellazi­one del Presente e della tua presenza. Sempre questione di Tempo. Prendere o lasciare».

L’Altro fece schioccare pollice e medio.

«Si sale e si scende con lo stesso ascensore, amico mio».

L’ascensore dell’Hotel si ritrovò, d’incanto, al limite della sua folle corsa verso l’alto: trentesimo piano. Una frazione di secondo dopo, l’Altro si era già dislocato nella cabina. Mentre la porta d’acciaio si richiudeva, senza bisogno di schiacciar­e pulsanti, l’Altro scorse l’uomo acconsenti­re con un ciondolio della testa. Sottoscriv­eva il proprio sacrificio, la propria cancellazi­one dalla mente della donna con la carnagione di perla. Sì, bene... D’incanto l’ascensore si ritrovò a stazionare giù al pianterren­o. Vuoto, come se non si fosse mai mosso dal piano zero.

*

La pseudo-Margherita si risvegliò nella 2366 poco prima delle 11. Il sonno profondo, un enorme vuoto onirico, la stava facendo sentire come nuova. Stranament­e, però, non rammentava con chi avesse diviso il letto. Il viso di quell’amante occasional­e era come scontornat­o. Il tizio (l’aveva sedotto a un party, la sera prima?) doveva essersela svignata alle prime luci. Il tanghero aveva almeno provveduto, quanto alla stanza?

Più tardi, nella hall tutta marmo, il portiere la rassicurò.

«Qui mi risulta tutto saldato, signorina», ricontroll­ando al terminale. La presunta Margherita si diresse verso la porta girevole. L’Altro l’aveva imbottita di falsi ricordi. Una sottile euforia guizzava lungo la schiena e le gambe snelle di lei. Si sentiva come una pagina vergine con appena scritto l’incipit. «Un miracolo», si disse solcando il fragore bianco di via Medina.

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