Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La fede smarrita e il padre del vicepremier
Chi ha fatto il cronista a Napoli sa che di questa città non ci si può fidare. Ogni storia nasconde un’altra storia, ogni scena un retroscena, ogni trama può riservare più di un epilogo. Qui la vita di ciascuno è troppo complessa, troppo intrecciata con quella degli altri, per potersi svolgere secondo modelli apollinei di razionalità e prevedibilità. Prendete il caso della fede nuziale smarrita al San Paolo, di cui ha parlato ieri Roberto Russo su questo giornale.
Un tizio la trova per terra, con tanto di nome della sposa e data del matrimonio incisa all’interno, e lancia su Facebook un appello al proprietario. Il popolo della Rete adora storie così: centocinquantamila condivisioni e tanti complimenti al ritrovatore perché non s’è intascato l’anello d’oro. Però del dito che l’indossava, finora, nessuna traccia.
Magari il mistero si sarà già risolto mentre leggete queste righe ma, non so perché, ha eccitato la mia fantasia. E se il proprietario di quella fede se ne fosse disfatto consapevolmente e per questo non si presenta ora a ritirarlo? Dopo 27 anni di matrimonio (le nozze sono del ‘91) potrebbe essere così stufo da essersi liberato di ogni ricordo della sua vita di coppia, o addirittura della moglie. Oppure è in fuga: è stato testimone di un delitto di camorra e sta nascondendosi ai killer che lo cercano, prova a far perdere le sue tracce gettando via gli oggetti personali in grado di identificarlo.
Oppure ha cambiato identità e iniziato una nuova vita all’estero perché inseguito dai debitori. Insomma: colui che a prima vista sembra essere la vittima di uno sfortunato incidente potrebbe invece rivelarsi l’artefice magico della propria sorte, come in una commedia di Eduardo.
Voi direte che a pensar male si fa peccato. Però la saggezza di uno che non era napoletano, ma avrebbe potuto esserlo, ci ricorda che spesso ci si azzecca. E qui arrivo a un caso politico di prima grandezza che è sulle pagine di tutti i giornali, accendendo furiosi dibattiti: le colpe del padre di Di Maio ricadono sul figlio, oppure no?
La risposta giusta, ovviamente, è no. Anche se, dopo questa storia, al posto di Luigi Di Maio la smetterei di dividere il mondo in onesti e disonesti come ha fatto finora e come di solito fanno i Cinquestelle. Ammettendo le sue colpe, e giurando che il figlio non ne sapeva niente, Antonio Di Maio ha infatti parlato di «errori». E questa parola ha usato anche il figlio.
Vuol dire che nel caso di un familiare si ammette finalmente che la vita è piena di zone grigie, che il bene e il male spesso si mischiano, per cui si può sbagliare anche restando onesti, e però si può essere disonesti anche senza sbagliare? Se così fosse ci troveremmo di fronte a un salto antropologico enorme: anche grillini e travaglisti potrebbero infatti finalmente approdare a una delle più grandi conquiste intellettuali della cultura occidentale e cristiana, e cioè che c’è differenza tra legge e morale, tra colpa e peccato; e quindi sarebbero costretti a rinunciare alla presunzione di essere per natura migliori, una specie di banda degli onesti.
Ma questo è un altro discorso. Restiamo invece alla cronaca. Mi è infatti balenato un sospetto (anzi, me l’ha fatto balenare una cronaca sul Fatto di Vincenzo Iurillo da Pomigliano, giornalista solitamente molto bene informato sulle vicende locali). E se dello scandalo Di Maio i Cinquestelle non fossero le vittime ma gli artefici? Insomma, chi poteva sapere della casa condonata del papà del vicepremier e dell’operaio pagato in nero più degli amici pomiglianesi di Luigi? E chi poteva sapere della colf della compagna di Roberto Fico, che pure sollevò un piccolo scandalo, se non i conoscenti napoletani del presidente della Camera?
Il cronista Iurillo, uno che deve avere appreso sul campo la lezione di cui parlavo prima, e cioè che a Napoli niente è mai come sembra, ci segnala con dovizia di dettagli rivelatori le faide in corso nel gruppo dei Cinquestelle di Pomigliano, gente che ha vissuto in diretta l’ascesa di Luigi e che ha accumulato delusioni, invidie, ripicche, e la sgradevole sensazione che ciò che viene concesso ai capi non viene perdonato ai militanti comuni. Il maggior scandalo politico del momento potrebbe insomma avere le stesse origini di una lite condominiale. Il che ovviamente non assolverebbe chi pensava di poter governare una nazione come un condominio. Ma ci aiuterebbe a capire che dietro ogni fede smarrita, anche politica, si nasconde sempre il grande mistero della natura umana.