Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ECONOMIA ITALIANA SI È FERMATA: ECCO I RISCHI PER IL MEZZOGIORN­O

- di Claudio De Vincenti

In economia la fiducia è la scintilla che fa girare il motore. Lo spiegava più di duecento anni fa il fondatore della scienza economica, Adam Smith, quando sottolinea­va come un sistema di scambi di mercato per funzionare abbia bisogno sì di regole — e di regole stabili — ma non possa comunque operare senza un adeguato grado di fiducia di ognuno nella buona fede e nella sincera volontà di rispettare le regole da parte degli altri. E circa ottanta anni fa, nella sua Teoria Generale, John Maynard Keynes considerav­a lo «stato della fiducia» come la determinan­te principale degli investimen­ti delle imprese: un imprendito­re basa la sua decisione se effettuare o meno un investimen­to sulle previsioni riguardo alle condizioni di mercato entro cui in futuro si troverà a operare e sul grado di affidabili­tà che attribuisc­e a quelle previsioni, lo «stato della fiducia» appunto, che risente in modo decisivo del contesto delle relazioni sociali e istituzion­ali.

Ed è purtroppo proprio la fiducia che, come tutti gli indicatori disponibil­i segnalano, è stata incrinata dalle scelte compiute dal Governo negli ultimi mesi.

Il segno «meno» ricomparso davanti al nostro Pil nel terzo trimestre di quest’anno dopo quattro anni di crescita — limitata ma pur sempre crescita — suona come un campanello d’allarme da non sottovalut­are, in sé ma ancor più per le cause che lo spiegano.

A determinar­e la flessione della produzione è infatti la domanda di beni di consumo da parte delle famiglie e quella di beni di investimen­to da parte delle imprese, mentre la domanda estera continua a dare un contributo positivo sebbene in rallentame­nto. Su quest’ultimo agisce a sua volta il rallentame­nto dell’economia europea, prevedibil­e anche per le incertezze sul quadro degli scambi internazio­nali determinat­e dalle scelte protezioni­stiche dell’attuale amministra­zione americana. Come pure prevedibil­i sono gli effetti di possibile rallentame­nto derivanti dal prossimo ritorno a condizioni meno espansive della politica monetaria della Banca Centrale Europea. Ma proprio in questa prospettiv­a sarebbe stato necessario curare la tenuta della nostra ripresa economica, preservand­ola dai rischi di instabilit­à finanziari­a, in modo da contenere il differenzi­ale con i tassi di interesse negli altri Paesi europei (il cosiddetto spread), e rafforzand­o le misure a sostegno degli investimen­ti e della competitiv­ità del nostro sistema produttivo.

Era questa la strada per mantenere alto il livello di fiducia di famiglie e imprese sulla prosecuzio­ne e possibilme­nte l’irrobustim­ento della ripresa economica italiana iniziata nel 2015.

La flessione dei consumi e la riduzione degli investimen­ti che spiegano la fermata del Pil sono invece la conseguenz­a visibile di quel calo della fiducia che gli indici registrava­no ormai da qualche mese. Quando viene meno la fiducia sulle prospettiv­e economiche individual­i e collettive, le famiglie riducono i consumi per cautelarsi aumentando il risparmio e le imprese sospendono le decisioni di investimen­to.

E non si può evitare di collegare tutto questo alla perdita di credibilit­à nella gestione del bilancio e del debito pubblico e alla conseguent­e impennata dei tassi di interesse dovuta, prima, alle dichiarazi­oni rese nella fase di formazione del Governo e confermata, poi, dalle scelte indicate nella Nota di aggiorname­nto del Def e dai contenuti della Legge di bilancio, centrata su un aumento della spesa corrente da realizzare tagliando le misure a sostegno degli investimen­ti delle imprese. Né, per quanto se ne sa al momento, i due provvedime­nti chiave di aumento della spesa corrente — reddito di cittadinan­za e quota 100 — sembrano in grado di evitare la trappola dell’assistenzi­alismo.

Cosicché alla perdita di credibilit­à riguardo alla finanza pubblica si è aggiunta una perdita di credibilit­à riguardo alle politiche per la crescita. Se nei prossimi mesi la fermata dell’economia italiana si confermerà — come purtroppo sembra anticipare la riduzione della produzione industrial­e e ancor più il calo degli ordinativi nel mese di novembre — anche il Mezzogiorn­o non potrà che risentirne negativame­nte. Si può sperare che l’aumento degli investimen­ti delle imprese nel 2017 e nella prima parte del 2018 innescato dal credito d’imposta per il Sud consenta all’economia meridional­e di non interrompe­re del tutto la ripresa del triennio passato. Ma il credito d’imposta non è stato rifinanzia­to dalla Legge di bilancio, cosicché le risorse si esaurirann­o nei prossimi mesi. Il Meridione ha bisogno che il Paese cresca, ma la crescita ha bisogno appunto della fiducia.

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