Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per niente Candida

- di Candida Morvillo

Cara Candida, col mio fidanzato siamo stati insieme 15 anni, eravamo compagni all’università. Poi, abbiamo fatto tanti sacrifici, gli sono stata vicina, abbiamo condiviso la prima casa da soli insieme, abbiamo avviato il nostro lavoro, abbiamo diviso i giorni belli e i giorni difficili, abbiamo viaggiato zaino in spalla e abbiamo visto l’aurora boreale, siamo andati ai matrimoni dei nostri amici e abbiamo battezzato qualcuno dei loro bambini. Noi no, invece, noi non ci siamo sposati e non abbiamo avuto figli. Rimandava sempre. Più il mio desiderio si faceva incalzante, più lui si faceva sfuggente. Mi è cresciuto dentro, un po’ alla volta, un dolore sordo, e una rassegnazi­one che si è fatta via via più eclatante. Mi sono fatta una ragione della sua refrattari­età alla famiglia, per quanto, dentro, sentissi sempre una punta di male. Il dolore di non sentirsi accolti del tutto dalla persona che amiamo è qualcosa che un po’ avvelena e spegne. Poteva essere tutto perfetto, ma lui ha scelto di non accogliere una parte di me. Si trincerava dietro le sue convinzion­i, diceva che non aveva voglia di avere figli perché non voleva perdere la libertà, che i figli sono sempre pensieri. E che sposarsi serve solo ad arricchire i ristorator­i e i venditori di abiti da cerimonia. Gli ho voluto credere, mi sono adattata, mi sono fatta piacere questa situazione, mi sono illusa che andasse bene anche per me. Per concludere, ho scoperto che aveva un’altra e l’aveva da tempo. L’ho lasciato e dopo sei mesi l’altra era incinta e, col pancione, se l’è sposato. Dirmi annientata è poco. Non so darmi una spiegazion­e, se non il suo egoismo, che finora non aveva voluto ammettere. Lo giustifica­vo perché l’amavo, ma era uno che pensava solo a stesso e io, stupida, ho subito per anni e anni, credendo

Cara Elena, ci sono le persone giuste nei momenti sbagliati e le persone sbagliate nel momento giusto. L’allineamen­to dei desideri con le possibilit­à è raro appena un po’ meno dell’allineamen­to di tutti i pianeti. Poi, non sempre le cose che diciamo sono vere. A volte sono mezze verità, a volte bugie dette per quieto vivere o pietose bugie. Un uomo che dice «non voglio un figlio da te e non voglio sposare te» sarebbe un kamikaze. E infatti non ne conosco uno. Gli uomini allergici ai figli e al matrimonio lo sono sempre in generale, sempre a prescinder­e, almeno finché non trovano la donna giusta o il momento giusto (auspicabil­mente, entrambe le cose). Lei mi chiede come ricomincia­re a credere nell’amore, ma mi fa la domanda sbagliata. Prima, dovrebbe tornare a credere in se stessa. A dare ascolto ai suoi desideri. Se avesse dato retta a ciò che voleva lei, anziché assecondar­e il suo fidanzato, ora staremmo parlando d’altro. Forse sarebbe alle prese con la prima pappa o con l’organizzaz­ione del battesimo di un figlio suo. Ad ascoltare la nostra voce interiore non si sbaglia mai, invece, a rinunciare, non solo ci si avvelena di frustrazio­ne, ma s’inquina tutto intorno. Il mondo è pieno di uomini che non lasciano le loro donne perché sono sante donne che hanno fatto rinunce per loro. Però, nessuno può dire che quella sia una coppia felice. Né può scommetter­e che, prima o poi, la situazione non esploda nel peggiore dei modi. Lei osserva che solo ora si accorge di non conoscere l’uomo con cui è stata per 15 anni. Ma possiamo dire di conoscere qualcuno solo quando abbiamo imparato a conoscere noi stessi. Quando sappiamo chi siamo e che vogliamo, ogni scelta è più lieve perché è inevitabil­e.

«L’amica geniale», specchio della rabbia che anima buona parte di questo Paese Cara Candida, ho visto alla television­e la serie «L’amica geniale». È stato uno shock per la violenza dei rapporti. Non mi hanno scosso tanto le prepotenze dei più grandi sui bambini, dell’usuraio sui poveri del rione, quanto la violenza delle mamme sulle figlie. La mamma di Lenù che non vuole che la figlia vada a scuola è stata un pugno nello stomaco, che mi rifiutavo di credere verosimile. Però, allo stesso tempo, sento che è qualcosa che ho già sentito addensato nell’aria, più di una volta. Mi ha fatto impression­e la mamma che istiga il padre a picchiarlo, che gli dice: non sei buono neanche a vattere tua figlia. Mi colpito quella stessa mamma che quando la piccola festeggia l’ammissione alla prima media, si lamenta perché «la signorina studia, mentre io cucino e mi spezzo la schiena di fatica». La bimba ha avuto tutti dieci, ma la mamma la manda a badare ai fratelli più piccoli senza dirle una parola buona. Che storia è questa? È solo Napoli o è anche l’Italia? È solo storia di cinquant’anni fa o di oggi? È pura fantasia? Allora perché incolla allo schermo tanta gente, come se parlasse di qualcosa di vicino e di conosciuto?

Carmela

Cara Carmela, non è Napoli, non è l’Italia, non è invenzione. È il racconto veritiero della rabbia che molti provano quando il progresso altrui smentisce le loro vite e le loro rinunce o scelte di comodo. La ferocia di quelle donne è il risultato di secoli in cui le donne erano state tenute in cattività, impossibil­itate a decidere di se stesse. È qualcosa che, almeno nel mondo occidental­e, non dovrebbe più avere ragione di esistere. Però, la furia di quelle donne e mamme le suona familiare anche perché appartiene a tante persone che non hanno realizzate se stesse e specchiano i propri insuccessi nel successo altrui. Non è Napoli, non è l’Italia, non sono le donne in sé, ma è qualcosa di più vasto, oscuro e doloroso. Sono le energie inutilizza­te. Una legge della Fisica dice che nulla si crea e nulla si distrugge ed è come se il male che facciamo a noi stessi costringen­doci in situazioni scomode si trasformas­se nel male che riversiamo sugli altri. È come se andasse in giro, scaricato di persona in persona, senza per questo dare vero sollievo al mittente iniziale. Il bersaglio ideale è il proprio specchio rovesciato, in sua assenza, torna buono chiunque passi di lì. La violenza delle donne di quella serie - contro le figlie, contro le altre donne con cui si accapiglia­no sulle scale - è la furia dei capi contro i dipendenti, dei bulli contro i compagni di classe, degli autisti che strombazza­no il clacson e insultano per niente. È la rabbia che anima buona parte di questo Paese di questi tempi. Per il poco che abbiamo raccolto negli ultimi anni, per il niente che troppo spesso vediamo davanti.

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che mi amasse. Da che parte posso ricomincia­re a credere nell’amore, a ricostruir­e una vita, io che ho avuto un solo uomo e ora scopro che non lo conoscevo?Elena
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