Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Marisela e il giornalista L’enigma di un incontro
Toc toc. La mia bussata alla porta del redattorecapo. I miei colpetti cadenzati, per annunciarmi e farmi identificare: le prime dieci battute di Mozart, Eine kleine nachtmusik. De Notaris. Era stato il mio mentore al giornale. Il maestro che mi aveva svezzato da apprendista di bottega a redattore in pianta stabile. «Vespucci! E dai, vieni!». Mi chiamo Amerigo, ne sono incolpevole (adesso, però, ho le spalle abbastanza larghe per quel nome immaginifico). De Notaris mi sfotticchiava al proposito come tutti. A differenza degli altri capiva tutto o quasi tutto di me. Quel giorno – uno spartiacque gravido di conseguenze – lui individuò a prima vista le mie orecchie da cane bastonato.
«Ti ha lasciato».
De Notaris, benevolo e acuto dietro gli occhiali sfavillanti. Bersaglio centrato a colpo sicuro e al primo colpo: Angela mi aveva scaricato. Dopo tre mesi esatti di convivenza e di interrogatori polizieschi, degni di Kappler e del barone Scarpia, dettati dalla sua feroce gelosia postuma. Uno Swann, quello della Recherche, al femminile. Swann: cigno. E lei era stata il mio cigno. Animale flessuoso, bisbetico, abbagliante, schiamazzante.
«Sei messo male», sentenziò De Notaris, tacitando il computer e la diretta dal Senato. Dalla vetrata alle sue spalle, lo sterminato continuum urbano abbarbicato, in vita e in morte, alle falde del vulcano.
«Ho il rimedio infallibile per te: Marisela».
De Notaris, nel nostro ambiente cittadino dove innumerevoli cani si disputano quei rari ossi, poteva decidere fortune e sfortune. Il potere profuma di afrodisiaco; dunque le spasimanti più o meno interessate gli si incollavano addosso con una sfrontatezza imbarazzante. Mi meravigliò molto, dunque, che il mio mentore stesse indirizzandomi ad una puttana (ogni cosa ha il suo nome). Per giunta con l’aria dell’intenditore di Avana pregiati.
«Dammi retta: vai da lei. Ti rimette a nuovo».
In verità avevo sempre proiettato un alone sordido sul sesso a pagamento. Perciò quell’uscita mi sembro offuscare l’immagine di gioioso Casanova che avevo sempre attribuito al mio maestro.
«Vacci, dammi retta. Lei è per pochi e ci sarà pure un motivo... Memorizzati il numero e mi saprai dire».
Finivo sempre, prima o poi, per seguire i suoi consigli. Lo avevo arruolato da tempo nelle mie voci interiori. «Cosa ne penserebbe, lui, di questo o quest’altro?», mi interrogavo. E, come per magia, mi risuonava la risposta argomentata da quella voce smaliziata e bonaria. Anche stavolta De Notaris si dimostrò lungimirante. Colombiana, bruna, statuaria ma con una spiccata armonia, femminile e musicale. Marisela. Un naso calligrafico cesellato chirurgicamente come il seno – nell’insieme di un corpo e un viso illuminati dallo splendore dei trentacinque anni. Marisela Alvarado. Aveva sangue indio e, chissà, babilonese. Riceveva la propria clientela molto selezionata in un appartamentino su a Monte di Dio. Aveva alle sue spalle una base tecnica da fisioterapista diplomata. Perciò le sue mani sapevano alleviare le tensioni muscolari, prima di scivolare verso i centri nevralgici del piacere. In più Marisela si dimostrava espansiva e allegra, specie se il cliente si presentava a lei rannuvolato. Il suo onorario, purtroppo, risultò abbastanza impegnativo per le mie finanze da soldato semplice del giornale. Tuttavia anche quel paio di dispendiosi incontri mensili avevano instaurato tra noi una familiarità, gradatamente, sempre più complice. Nello stesso periodo avevo scoperto, dal suo profilo aperto su Instagram, che Marisela era religiosissima, una fanatica delle presenze angeliche. Furono proprio i social media a farmi dedurre che Marisela Alvarado entrava e usciva da due vite parallele, reciprocamente impermeabili e incomunicanti. Per la corpulenta sorella, infatti, oltre che per il manesco cognato, l’adorata nipotina Maritza e la colonia napoletana dei suoi connazionali, lei non era altri se non Marisol. Linda, hermosa, guapa, luminosa quanto la desinenza in «sol» del suo nome. Marisol. La zia adorabile che scarrozzava in pizzeria, o nella risorta Edenlandia, tanto la nipote-figlioccia quanto gli amichetti di Maritza che facevano la loro comparsa, di scorcio, nei selfie. Dei tredici-quattordicenni latinos, con i capelli oliati dalla brillantina e l’aria torva di precocissimi machos, non lontani dal venire iniziati al brandire un machete. Per noialtri inve- ce, la cerchia ristrettissimi dei clienti-estimatori in possesso del suo numero fatato, lei ruotava la propria personalità di 180°. E si mostrava come Marisela. Ovvero la creatura dai tatuaggi nascosti in parti tenere e inaccessibili. Diventava una bocca prensile e un sesso elastico come una seconda bocca. Accadde poi un giorno, mentre mi rivestivo, che lei mi desse un elettrizzante pizzicotto sul braccio.
«Ora che siamo amici me lo puoi anche dire chi è il tuo collega giornalista. Dai... Quello che te l’ha dato il mio numero».
Mi lasciai andare. Feci il nome di Mimmo De Notaris. I due puntini stellari, in centro alle pupille di Marisela, si spensero di colpo. Come un blackout nel panorama notturno di una città. «Che succede?», mi allarmai. Marisela non articolò più una parola finché mi ebbe congedato, sfiorando con il suo zigomo freddo il mio. Quella sua reazione mi istigò. La volta dopo tornai alla carica. Menzionai ancora, con aria svagata, il mio mentore al giornale. Il mio secondo sguardo – quello recondito – tenne d’occhio le reazioni facciali di Marisela. I suoi tratti che sbiadivano come se avessi evocato degli atti spaventosi e oscuri. Fui pervicace; citai quel nome in altre due occasioni.
«Vieni per me o per lui?», sbottò, «Se vieni per me parla di me e di te. Se mi vuoi ancora vedere...».
Un ultimatum. In realtà un bluff. In realtà moriva dalla voglia di sfogarsi; io ho una capacità di ascolto inesauribile. Batto queste ultime righe al pc, in redazione. De Notaris è via a Londra, da uno dei suoi figlioli espatriati. Prima sono sgusciato, con un pretesto, nel suo box vetrato. Quelle foto dalle cornici argentate, di lato allo schermo del suo computer stranamente inattivo. Tutte angolate verso la poltrona direzionale di De Notaris. Quel primo piano di sua moglie: poco avvenente, dallo sguardo vivo. Una volta, al mio ex mentore, era sfuggita una confidenza.
«Mia moglie, alla fine, è la mia migliore amica. Credimi: senza di lei, senza il matrimonio, sarei stato capace di cose terribili». Il suo sorriso bonario. «Non scherzo, lo sai? Terribili».
Io avevo creduto scherzasse.
” Furono i social media a farmi dedurre che la ragazza entrava e usciva da due vite parallele, impermeabili e senza alcuno scambio