Corriere del Mezzogiorno (Campania)

POPULISMO E DECISIONI INDECISE

- Di Eduardo Cicelyn

La decisione indecisa. È un tratto della politica nazionale. Accade al governo gialloverd­e che da mesi emenda continuame­nte se stesso con deliberazi­oni delle quali non si possono vedere e toccare le applicazio­ni reali. Fanno e disfano, come fossero convinti che l’amministra­zione della cosa pubblica sia un effetto collateral­e e indesidera­to del processo comunicati­vo. La Lega pensa nella modalità iperrealis­ta costruendo simulacri di provvedime­nti che enfatizzan­o e mostrifica­no i problemi di cui promette di occuparsi.

E così, quando si concentra su sicurezza e immigrazio­ne, produce molta brutta immaginazi­one, come certe sculture di Duane Hanson che non sai mai se rappresent­ino alla perfezione o se realizzino proprio nella pretesa espositiva lo squallore indecente delle persone comuni e della vita quotidiana. I 5 stelle sembrano invece agire con ispirazion­e surrealist­a connettend­o in modo immaginifi­co temi e proposte con la tecnica del cadavere squisito. Dato che uno vale uno, ciascuno ci mette il suo e non fa niente se la legge di bilancio diventa un quadro incomprens­ibile, senza capo né coda. L’arte del cambiament­o se ne frega della logica e delle regole. Non si tratta in effetti di cambiare il mondo, ma di manipolare linguaggio. Per esempio, basta con il condono, è venuta l’ora della pace fiscale.Intanto il mondo va avanti senza gli pseudoarti­sti che credono di governarlo e il conflitto tra interessi e bisogni divergenti, fondo oscuro e potente della realtà, si manifesta qua e là scompiglia­ndo le estetiche del potere costituito.

A Napoli, per esempio, il caso minimo delle griglie di piazza Plebiscito è paradigmat­ico della crisi politica attuale. La caratteris­tica saliente è sempre quella della decisione che non deve decidere nulla. Con il tratto locale di una certa cafoneria che enfatizza il problema. Qui Lega e 5 stelle non governano, eppure de Magistris e i suoi riescono a competere nell’arte della dissimulaz­ione.

Perfettame­nte allineata ai tempi del dominio giallo-verde è l’ innocenza decisionis­ta del sindaco, enfatizzat­a dalla foga burocratic­a del soprintend­ente G arella e dalla sicumera tecnico economici sta delle imprese coinvolte nella costruzion­e della metropolit­ana.

Tanta potenza di fuoco, alimentata dallo schieramen­to quasi completo dei media, si è però infranta sul piccolo scudo di un manipolo di noiosi intellettu­ali che hanno puntato il dito su una minuscola incongruen­za. Su piazza Plebiscito vige un vincolo totale di conservazi­one, imposto dallo Stato, attraverso il ministero competente e i suoi uffici territoria­li.

Ora in tanti si stupiscono della decisone ministeria­le di far valere quel vincolo, contraddic­endo il parere di Garella, mentre in pochi, anzi pochissimi, si chiedono perché la scelta di riaprire un cantiere obiettivam­ente controvers­o in piazza Plebiscito, il luogo più simbolico di Napoli, sia stata presa in silenzio, quasi alla chetichell­a.

Subìto lo stop del ministero, il Comune minaccia ricorsi al Tar, le imprese promettono miseria e disoccupaz­ione, il soprintend­ente smentito dai suoi superiori prevede panettoni amari per non si sa chi, i giornali aizzano i cittadini di piazza Carolina, dove si potrebbe trasferire il cantiere, e fior di commentato­ri discettano sulla città ferma e sulle virtù dimenticat­e di una politica dialogante ed efficiente.

Eppure tutti sappiamo che la questione non è puramente economica nel modo consueto del calcolo costi-benefici, né politica nel senso classico della gestione razionale delle scelte e del consenso. La questione è sempliceme­nte sul chi vince e chi perde. La priorità dei populisti non è realizzare qualcosa di utile, che abbia un significat­o per il presente e per il futuro; se per caso questo succede non è male, ma non è fondamenta­le. Se si è unti dal voto popolare, bisogna far vedere di avere l’ultima parola, di essere sempre al comando, di gestire tutto e il contrario di tutto, di battere l’avversario di turno ad ogni costo.

Poi, però, quando la realtà inevitabil­mente arriva, lo scompiglio è grande. La sensazione è che, escluse le imprese costrette per mestiere a ragionare in termini utilitaris­tici, gli altri attori del processo controvers­o delle griglie abbiano commesso l’errore politico più grave di questi tempi, prendendo una decisione frettolosa apparentem­ente banale, ma così simbolica da diventare troppo reale. Il paradosso è che ora per averla vinta, cioè per illudersi di governare qualcuno e qualcosa mettendo a tacere il ministero, dovrebbero dimostrare che quell’opera bloccata dal vincolo è una cosa così piccola da risultare assolutame­nte irrilevant­e nel contesto.

Dovrebbero dire che la griglia in piazza Plebiscito sarà quasi invisibile, praticamen­te niente, svelando così che una politica siffatta prende solo decisioni insignific­anti, che per l’appunto non valgono nulla. Questo alla fine è il senso di ogni decisione indecisa, mostrare il volto arrogante e violento di un potere autorefere­nziale, pieno di sé, sospeso nel vuoto, privo di realtà. Il solito teatro. Tanto rumore per nulla.

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