Corriere del Mezzogiorno (Campania)
POPULISMO E DECISIONI INDECISE
La decisione indecisa. È un tratto della politica nazionale. Accade al governo gialloverde che da mesi emenda continuamente se stesso con deliberazioni delle quali non si possono vedere e toccare le applicazioni reali. Fanno e disfano, come fossero convinti che l’amministrazione della cosa pubblica sia un effetto collaterale e indesiderato del processo comunicativo. La Lega pensa nella modalità iperrealista costruendo simulacri di provvedimenti che enfatizzano e mostrificano i problemi di cui promette di occuparsi.
E così, quando si concentra su sicurezza e immigrazione, produce molta brutta immaginazione, come certe sculture di Duane Hanson che non sai mai se rappresentino alla perfezione o se realizzino proprio nella pretesa espositiva lo squallore indecente delle persone comuni e della vita quotidiana. I 5 stelle sembrano invece agire con ispirazione surrealista connettendo in modo immaginifico temi e proposte con la tecnica del cadavere squisito. Dato che uno vale uno, ciascuno ci mette il suo e non fa niente se la legge di bilancio diventa un quadro incomprensibile, senza capo né coda. L’arte del cambiamento se ne frega della logica e delle regole. Non si tratta in effetti di cambiare il mondo, ma di manipolare linguaggio. Per esempio, basta con il condono, è venuta l’ora della pace fiscale.Intanto il mondo va avanti senza gli pseudoartisti che credono di governarlo e il conflitto tra interessi e bisogni divergenti, fondo oscuro e potente della realtà, si manifesta qua e là scompigliando le estetiche del potere costituito.
A Napoli, per esempio, il caso minimo delle griglie di piazza Plebiscito è paradigmatico della crisi politica attuale. La caratteristica saliente è sempre quella della decisione che non deve decidere nulla. Con il tratto locale di una certa cafoneria che enfatizza il problema. Qui Lega e 5 stelle non governano, eppure de Magistris e i suoi riescono a competere nell’arte della dissimulazione.
Perfettamente allineata ai tempi del dominio giallo-verde è l’ innocenza decisionista del sindaco, enfatizzata dalla foga burocratica del soprintendente G arella e dalla sicumera tecnico economici sta delle imprese coinvolte nella costruzione della metropolitana.
Tanta potenza di fuoco, alimentata dallo schieramento quasi completo dei media, si è però infranta sul piccolo scudo di un manipolo di noiosi intellettuali che hanno puntato il dito su una minuscola incongruenza. Su piazza Plebiscito vige un vincolo totale di conservazione, imposto dallo Stato, attraverso il ministero competente e i suoi uffici territoriali.
Ora in tanti si stupiscono della decisone ministeriale di far valere quel vincolo, contraddicendo il parere di Garella, mentre in pochi, anzi pochissimi, si chiedono perché la scelta di riaprire un cantiere obiettivamente controverso in piazza Plebiscito, il luogo più simbolico di Napoli, sia stata presa in silenzio, quasi alla chetichella.
Subìto lo stop del ministero, il Comune minaccia ricorsi al Tar, le imprese promettono miseria e disoccupazione, il soprintendente smentito dai suoi superiori prevede panettoni amari per non si sa chi, i giornali aizzano i cittadini di piazza Carolina, dove si potrebbe trasferire il cantiere, e fior di commentatori discettano sulla città ferma e sulle virtù dimenticate di una politica dialogante ed efficiente.
Eppure tutti sappiamo che la questione non è puramente economica nel modo consueto del calcolo costi-benefici, né politica nel senso classico della gestione razionale delle scelte e del consenso. La questione è semplicemente sul chi vince e chi perde. La priorità dei populisti non è realizzare qualcosa di utile, che abbia un significato per il presente e per il futuro; se per caso questo succede non è male, ma non è fondamentale. Se si è unti dal voto popolare, bisogna far vedere di avere l’ultima parola, di essere sempre al comando, di gestire tutto e il contrario di tutto, di battere l’avversario di turno ad ogni costo.
Poi, però, quando la realtà inevitabilmente arriva, lo scompiglio è grande. La sensazione è che, escluse le imprese costrette per mestiere a ragionare in termini utilitaristici, gli altri attori del processo controverso delle griglie abbiano commesso l’errore politico più grave di questi tempi, prendendo una decisione frettolosa apparentemente banale, ma così simbolica da diventare troppo reale. Il paradosso è che ora per averla vinta, cioè per illudersi di governare qualcuno e qualcosa mettendo a tacere il ministero, dovrebbero dimostrare che quell’opera bloccata dal vincolo è una cosa così piccola da risultare assolutamente irrilevante nel contesto.
Dovrebbero dire che la griglia in piazza Plebiscito sarà quasi invisibile, praticamente niente, svelando così che una politica siffatta prende solo decisioni insignificanti, che per l’appunto non valgono nulla. Questo alla fine è il senso di ogni decisione indecisa, mostrare il volto arrogante e violento di un potere autoreferenziale, pieno di sé, sospeso nel vuoto, privo di realtà. Il solito teatro. Tanto rumore per nulla.