Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Bressane dal Brasile in Campania: amo Antonioni La sua forza era l’ossessione. Genialmente malato
Brasiliano, 72 anni, regista: Julio Bressane, esponente del Cinema Novo sin dagli anni ‘60 e punto di riferimento dell’urdigurdi, la versione carioca dell’underground, è stato protagonista al Laceno d’Oro di un’appassionante lezione di cinema. «Ho cominciato da ragazzino, quando in occasione di un viaggio a New York mia madre mi regalò una cinepresa 16mm. Posso dire che da allora non ho mai smesso di girare. E ho scoperto quella che per me è la vera natura del cinema: un organismo intellettuale in grado di attraversare tutte le altre arti, e la vita stessa. Il cinema è l’arte dell’attraversamento”»
Il regista ha «attraversato» molte volte l’Italia. «La prima volta fu a 12 anni. In macchina con autista da Parigi a Venezia, Milano, Pisa, Firenze, Roma... Roma era magnifica e vuota, solo pochi mesi prima della “Dolce Vita”. Conservo tutto il materiale che girai e che utilizzerò in uno dei miei prossimi film. Si intitolerà “Il lungo viaggio del bus giallo” e durerà almeno sei o sette ore. Ma da grande sono stato tante volte alla Biennale di Venezia con i miei film, e dieci volte a Torino per girare “I giorni di Nietzsche a Torino”, sulle lettere che il filosofo scrisse durante la permanenza in Italia poco prima di morire». Più che un regista, sembra un filosofo. «Il filosofo di famiglia è mia moglie - dice grande studiosa proprio di Nietzsche. Ma certo la filosofia mi ha aiutato molto. Come il cinema, attraversa tutte le altre discipline. Il cinema è essenzialmente una proiezione di luce, tutto quello che accade sullo schermo è molto meno importante. La pellicola è una trasparenza che crea l’ombra. Con il digitale il cambiamento è stato traumatico: oscurità al posto della luce. Ma non è la fine del mondo. Tutte le immagini sono buone: quelle buone, quelle meno buone e soprattutto quelle che non ci piacciono. Non sopporto quando sento dire che “questo è un film su...”. Un film è un film su se stesso, è l’atto del filmare.
Bressane conclude: «I registi che mi hanno più influenzato? Centinaia. Ma se devo fare un solo nome, dico Antonioni. La sua forza era l’ossessione: era genialmente malato. Dopo la sua morte ho girato due film sulla sua tomba. Ma potrei parlare di altri registi italiani grandi per la concezione dello spazio, da Fellini a Germi. Tutto lì viene dall’arte, dalla pittura e dalla letteratura umanistica. Da Raffaello come da Poliziano. A differenza del mio Brasile, l’Italia è un Paese che ha ancora una memoria».