Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La metropoli sotto il Vesuvio e il boom del turismo che nasce dalla letteratura
Alcuni lo chiamano potere simbolico, altri fascino delle narrazioni. Ci sono luoghi, nel nostro pianeta e anche oltre (si pensi all’incredibile proposta di viaggio su Marte) in grado di muovere sogni e trasformarsi in itinerari fisici. Luoghi della Storia, ma soprattutto luoghi che raccontano storie.
Il più delle volte, certo, sono beni culturali materiali, parte del patrimonio artistico o paesaggistico riconosciuto dall’Unesco o dalla storia della civiltà. Talvolta però si tratta di destinazioni insolite, spazi vuoti, «mancate rovine», anche degradi talvolta. Prove evidenti del potere delle narrazioni. Pensiamo ai milioni di viaggiatori che accorrevano al non-luogo di Ground zero a New York nei primi anni duemila, senza dubbio più numerosi rispetto a quelli oggi in visita all’Oculus sorto al posto delle Torri gemelle. Il paragone irriverente, considerando la tragedia umana che ha segnato per la storia l’11 settembre, ci serve qui per riflettere sulla assoluta immaterialità e «inutilità potente» ed efficace dell’immaginario. Fenomeni singolari, inattesi, che hanno anche risvolti patologici, come il fascino dell’horror che porta carovane di curiosi morbosi su scene di delitti o fatti di cronaca nera. L’esempio forse oggi più potente è senza dubbio il «caso Ferrante», una serie di best-seller che sono stati tradotti in centinaia di lingue, ma anche transcodificati in serie tv, e soprattutto si sono articolati in specifici itinerari turistici di dubbio valore estetico o culturale, ma di forte fascinazione simbolica. È il viaggio fisico che nasce dai libri, o più in generale dalle narrazioni. Spesso, insomma, a muovere grandi flussi turistici (orribile ma efficace formula) non sono reali avvenimenti, ma storie. Sono narrazioni come potenti repertori di racconti, leggende, saghe che partono dalle librerie o da sale cinematografiche o dal web e viaggiano rapidamente per il pianeta, in itinerari immateriali che si traducono in concretissimi itinerari fisici, con immediate ricadute economiche.
Se ancora si discute sulle motivazioni della grande ripresa del turismo che vive Napoli in questi ultimi anni, se da fronti contrapposti si tira in ballo il «fattore Isis» o le politiche dell’amministrazione, non vedo perché nessuno (mi sembra) abbia ancora sufficientemente riflettuto sul nesso che lega questo inatteso aumento di presenze straniere e italiane con la grandissima stagione che vive la città in letteratura o nel cinema. Lo spazio urbano si fa set di grandi film o propriamente topografia dell’immaginario, macchina narrativa di grandi storie, firmate da registi, sceneggiatori e romanzieri — napoletani e non — che sono in cima alle classifiche delle vendite. I nuovi «turisti letterari» che oggi conta il Mezzogiorno sono uomini e donne colti, che leggono libri e vanno al cinema, e che presumibilmente coincidono con i turisti che visitano i nostri musei (quelli del + 15 per cento nel solo 2017). E varrebbe anche la pena forse di riflettere su quanto i nostri preziosi gioielli, storico-artistici e paesaggistici, siano in grado di raccontare. Le narrazioni possono inserirsi da protagoniste all’interno di buone pratiche di promozione del territorio, specie se riferite a siti culturali di indiscutibile fascino. In termini occupazionali, quelli di storyteller digitale o di content manager sono senza dubbio due profili professionali che potranno e dovranno farsi strada nel settore dei beni culturali. L’Università Suor Orsola Benincasa ci ha scommesso già da tempo, adeguando il corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali, arricchendo il triennio formativo con esami e laboratori specifici di storytelling digitale e di nuove tecnologie, oltre che di social media marketing. In particolare da anni è attivo un progetto, «Storie nuove di Napoli», un incubatore di storie che quest’anno lavora sui miti che raccontano le opere del Mann. In collaborazione con il «Corriere del Mezzogiorno», gli studenti lavorano sui territori, sui nostri maggiori musei, ma anche sul nostro patrimonio immateriale. È un progetto didattico impegnativo, personalizzato, che prevede lavori di piccolo gruppo. Speriamo di offrire un’opportunità concreta ai nostri studenti, e perché no anche al patrimonio culturale della nostra regione.
L’offerta formativa
Al Suor Orsola il corso di laurea in Scienze dei beni culturali si è arricchito con laboratori di storytelling e di nuove tecnologie