Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Una situla per il vino svela il mistero della Pompei etrusca
POMPEI A ritroso. Un vaso di bronzo, risalente al VI o forse al V secolo avanti Cristo, chiude la mostra su «Pompei e gli Etruschi», allestita in 13 sale nel portico Nord della Palestra Grande all’interno del Parco archeologico vesuviano. Realizzata a Orvieto, era ancora esposta in qualche domus di Pompei o Ercolano al tempo dell’eruzione pliniana del 79 d.C. È la dimostrazione della persistenza nella memoria degli antichi pompeiani della passata influenza etrusca, non esauritasi con la sconfitta degli etruschi nella battaglia navale di Cuma del 474 a.C. Si tratta di una situla e conteneva il vino durante i simposi. È arrivata a Pompei in prestito dal Museo nazionale di Napoli, guidato da Palo Giulierini, che ha contribuito in misura rilevante all’esposizione. Il Mann non è stata l’unica istituzione culturale a collaborare col Parco archeologico in occasione della prestigiosa iniziativa. In prima fila anche il Polo museale della Campania, diretto da Anna Imponente. Numerosi i prestiti da parte del Polo della Basilicata. La società Electa ha curato l’organizzazione. Curatori della mostra, che sarà aperta ufficialmente al pubblico stamattina e sarà visitabile, senza aggravio di prezzo rispetto al biglietto d’ingresso agli Scavi, fino al 2 maggio del 2019, sono stati il direttore del Parco Massimo Osanna e Stéphane Verger, direttore della École pratique des hautes études di Parigi. L’esposizione rappresenta il terzo atto dopo quelli dedicati all’Egitto (2016) e alla Grecia (2017). Il numero dei reperti la rende unica: sono circa 800 provenienti da musei italiani ed europei. Materiali in bronzo, argento, terrecotte, ceramiche, ritrovati all’interno di tombe, presso santuari e centri abitati. Concorrono a fare luce sulle influenze etrusche in Campania, a partire dai primi insediamenti di Capua e Pontecagnano, per arrivare alla nuove città etrusche di una regione multietnica, tra le quali appunto si annovera anche la Pompei presannita.
Nella sezione centrale dell’esposizione i ritrovamenti effettuati durante la campagna di scavi nel fondo Iozzino fuori dal perimetro del Parco archeologico. Si tratta dei resti di uno dei principali santuari, oltre a quelli di Apollo e Atena, fondati a Pompei alla fine del VII secolo a.C.: i reperti principali “regalati” da questo sito sono armi e servizi per le libagioni rituali con iscrizioni in lingua etrusca. Gli studi scientifici portano a ritenere che la Pompei etrusca (aveva certamente un altro nome che resta ancora sconosciuto) fu fondata intorno al 600 a.C. da parte di coloni provenienti dall’Italia centrale, in particolare dalla zona a Nord di Roma, compresa tra il litorale tirrenico e i fiumi Tevere e Arno. In quel tempo la Campania era popolata anche da altre popolazioni italiche che coabitarono con i nuovi arrivati. La regione, che si affacciava sul medio-basso Tirreno, era in posizione strategica per gli itinerari marittimi. Proprio per questo motivo, richiamò anche l’attenzione dei Greci, nel VIII secolo a.C., partendo dall’isola di Eubea a Nord di Atene, avevano fondato la prima colonia dell’Italia meridionale nell’isola di Pithecusae, cioè l’attuale Ischia. La convivenza portò alla formazione di culture ibride e di lingue diversificate. «Abbiamo voluto — ha spiegato ieri Osanna nel corso della presentazione alla stampa — ricostruire un’antica storia di connessioni mediterranee, della convivenza di culture. È sbagliato, a riguardo del periodo storico compreso tra l’VIII e il VI secolo a.C., parlare di italici, di greci e di etruschi. L’etnicità veniva fuori solo nei momenti di crisi». Esemplare il corredo funerario, rinvenuto nella tomba Artiaco 104 di Cuma, di un principe cosmopolita che mangiava e beveva come un greco, portava abiti e armi etruschi e si comportava come un re orientale.
Osanna
Abbiamo voluto ricostruire un’antica storia di connessioni e convivenza di culture
Vestigia
Ottocento manufatti, tra terrecotte e argenti, esposti al pubblico fino al prossimo 2 maggio