Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La zingarata dei Pisani e il silenzio dei Fichiani
Non si può sottovalutare l’importanza di una Scuola di alta formazione a Napoli. Nonostante la zingarata del sindaco leghista di Pisa che, preoccupato di “contaminarsi” con la nostra città, ha chiesto e ottenuto di non concedere il marchio della Normale, i cinquanta milioni rimasti sul tavolo per far nascere presso la Federico II una scuola di eccellenza sono comunque un’ottima notizia. Bisogna dunque ringraziare il direttore della Normale Barone - contro il quale si è scatenata una assurda canea - e il rettore di Napoli Manfredi, se il loro progetto si realizzerà, seppur mutilato.
La Lega, che spera ormai di prendere molti voti anche in Campania, e che esprime anche una sottosegretaria al Mezzogiorno, l’onorevole Castiello, ha infatti dovuto dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Da un lato non ha potuto mettere a tacere il suo sindaco di Pisa, autore di una campagna in puro stile nordista, sostenendo che per la Normale sarebbe stata una perdita aprire una sede al Mezzogiorno. Dall’altro non se l’è sentita di far perdere a Napoli un’occasione così importante per uno stupido campanilismo, e ha dunque confermato il finanziamento.
Questa storia però dimostra alla perfezione perché un Paese non può essere governato come una somma di localismi, senza cioè una visione unitaria e strategica e un uso intelligente delle poche risorse disponibili. Il compromesso cui si è arrivati è infatti un tipico caso di soluzione «lose-lose», in cui cioè perdono tutti. Ci perde la Normale, e fa specie che a Pisa perfino nel Senato accademico della Scuola ci sia chi non lo capisce. Allargare ed estendere le sedi e le attività dell’istituto è una crescita e non una «diminutio», soprattutto se come in questo caso le risorse sarebbero state aggiuntive, e non sottratte a Pisa.
D’altra parte anche Napoli ci ha perso dal ritiro della Normale. I leghisti nostrani, nel tentativo di giustificarsi, dicono ora che così la città avrà la sua Scuola e pure in completa autonomia. Nel caso fosse andato in porto il gemellaggio con la Normale, infatti, nel consiglio direttivo ci sarebbero stati tre docenti espressi da Pisa, che avrebbe mantenuto il controllo. E aggiungono con orgoglio ciò che dovrebbero spiegare al loro amico sindaco di Pisa, e cioè che la Università di Napoli, fondata da Federico II tra le prime in Europa, ha circa seicento anni più della Normale di Pisa, e dunque può fare benissimo da sola.
Ma anche questo campanilismo partenopeo, come quello pisano, è stupido. Perché, per quanto antico e prestigioso sia il nostro ateneo, ciò nondimeno si sarebbe giovato e non poco della superiore esperienza della Normale nella gestione di una scuola di alta formazione, perché si tratta di una storia di successo, di un marchio di valore mondiale, e perché nella globalizzazione bisogna che ognuno faccia ciò che sa fare al meglio e non tutti possono fare tutto.
Inoltre, nel campo della ricerca la cooperazione e la concentrazione di cervelli è decisiva. È per questo che gli istituti di eccellenza non possono
nascere in ogni città Italiana, errore che abbiamo già commesso con le università sotto casa: perché disperderebbero energia e risorse. Se procedessimo con il criterio leghista del campanile dovremmo fondare una scuola dovunque la Lega cerchi voti e buttare così i soldi dalla finestra. Il progetto Normale-Federico II non era nato a caso. Si giustificava sulla base della collaborazione già in corso, sui docenti e i corsi già condivisi, aveva insomma un senso accademico sul quale dovrebbero essere titolati a giudicare solo le università nella loro autonomia, non i politici per motivi elettorali. Le università non si possono aprire e chiudere come fossero supermercati.
Un’ultima annotazione va fatta sul comportamento del M5S in questa faccenda. Il partito che ha preso più voti a Napoli e in tutto il Sud, che nella nostra città esprime i suoi due massimi esponenti, Di Maio e Fico, ha taciuto come un tappeto, lasciando fare alla Lega il bello e il cattivo tempo. La delusione sulla effettiva capacità dei Cinquestelle di rappresentare il Mezzogiorno e i suoi interessi sta rapidamente crescendo. È come se Di Maio e compagni pensassero che l’unica politica che si possa fare per il Sud sia l’assistenza, e per questo si occupino solo del reddito di cittadinanza. Errore storico. Perché l’assistenza non basterà mai, e non ci saranno mai abbastanza fondi per farla durare per sempre, se non si avviano al Mezzogiorno occasioni di crescita economica, culturale e sociale in grado di renderlo progressivamente autosufficiente. In vent’anni la nostra regione ha perso quasi mezzo milione di abitanti, in grandissima parte giovani. Un sostegno al reddito può forse alleviare, non certo fermare, questa pericolosa dissipazione di capitale umano, questa dissoluzione di una civiltà.