Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Debutta il porta-babà, per un dolce di nobili origini
NAPOLI Non c’è fine alla fantasia degli artigiani napoletani: ne è la prova il porta-babà, un oggetto realizzato dai maestri ceramisti dell’Istituto CaselliReal fabbrica di Capodimonte e destinato ad imbandire le tavole dei napoletani e non solo.
Il suo debutto sul mercato è avvenuto ieri a Napoli da Novelli arredamenti di Sergio Eller, in via Vetriera, dopo una prima apparizione del prototipo avvenuta a maggio. Il porta-babà si presenta come una coppa a forma di calla — fiore tradizionale della Real fabbrica —, in cui va messo appunto il babà, che poggia su un piattino concavo nel quale, attraverso un sistema di colaggio, si raccoglie la “bagna”. Terminato il dolce, si potrà così bere il liquore rimasto. «È un oggetto che nasce da un progetto più ampio — spiega Valter Luca de Bartolomeis, dirigente dell’istituto Caselli, direttore della Real fabbrica di Capodimonte e designer del porta-babà — che punta alla rinascita della Real fabbrica, un brand storico che nel 1961 è stato abbinato alla scuola di ceramica Caselli, diventato istituto ad indirizzo raro nel 2007. Da un anno abbiamo riattivato la produzione e stiamo aggiornando la formazione. Il nostro obiettivo è di mantenere i tratti tradizionali della produzione, ma aggiornarne le forme secondo i canoni del design contemporaneo, per renderli più vendibili al pubblico».
Il porta-babà è, infatti, il primo di una serie di oggetti che l’Istituto sta realizzando nell’ambito di un progetto di food designer in collaborazione con l’Associazione design industriale (Adi), presieduta in Campania da Andrea Jandoli. «Stasera qui s’incontrano due storie di napoletanizzazione — ha spiegato lo storico Fabrizio Mangoni, intervenuto alla serata —. La prima è quella che nasce nel 700 con Carlo III, con la fabbrica di Ceramica di Capodimonte che per varie vicende si radica nella città. L’altra è il babà, che nasce una ventina di anni dopo, a metà del ’700 ad opera di Stanislao Lesinski, ex re di Polonia. Un dolce illuminista che inizialmente aveva forma di fontana ed era secco, con zafferano, uvetta e canditi di Smirne e di Corinto e che per questo profumo d’Oriente fu chiamato l’Alì Babà, in omaggio alle Mille e una notte. Poi, durante la rivoluzione francese, un cuoco che era stato nelle cucine di Stanislao trovò comodo far lievitare il dolce in un bicchiere. Per cui assunse l’attuale forma con la testa, mantenendo all’interno uvetta e canditi che si perderanno con l’arrivo a Napoli e diventando un assoluto di morbidezza, degno di maestri pasticcieri».