Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La rinascita del Caselli e il segreto delle porcellane di Maria Carolina
La scuola di ceramica all’interno del bosco di Capodimonte è diventata «istituto raro» Il preside de Bartolomeis ha acquistato nuovi torni, stampanti in 3D e forni moderni
una specie di resistenza “passiva” contro le riforme avviate dal sovrintendente alla Reggia di Capodimonte Sylvain Bellenger. L’istituto professionale è una scuola a tutti gli effetti: ha circa 300 allievi, un corpo docenti di una ottantina di membri e un nuovo dirigente scolastico, l’architetto Valter Luca de Bartolomeis, che è l’artefice di questa straordinaria metamorfosi.
Capelli lunghi d’artista, mi accoglie sorridente nel suo ufficio e in un’ora di colloquio riesce a trasmettermi entusiasmo e un mare di nuove idee. De Bartolomeis è un personaggio adrenalinico, ottimista, di rara umanità, in grado di coniugare il piglio manageriale di uno startupper con la flessibilità bonaria di un vecchio preside. In pochi mesi ha rigirato il Caselli come un calzino. Intanto è diventata una scuola in ordine, pulita, i lavori di manutenzione sono stati svolti a regola d’arte, i cortili sistemati e le aule finalmente accoglienti. Al suo interno si respira l’atmosfera di una scuola di altri tempi, il luogo ideale, se mi permettete la candidatura, per un prossimo incontro di CasaCorriere. «La svolta — parte da qui il racconto di Bartolomeis — è arrivata quando abbiamo ottenuto il riconoscimento di “istituto raro”, che ci consente di riattivare la fabbrica acquistando nuove attrezzature e di operare in deroga ad alcune rigidità del sistema scolastico, come il numero minimo di allievi iscritti ad un plesso scolastico». Su quest’ultimo punto tradisce il suo facile ottimismo, perché proprio qualche settimana fa gli hanno appioppato la direzione di una nuova scuola per raggiungere il fatidico limite dei 600 alunni. Un lavoro gravoso che finirà con il sottrarre tempo prezioso alla sua missione.
Sul ridare vita alla Real Fabbrica di Capodimonte, Bartolomeis invece rivela quel pizzico di follia senza il quale nessun grande progetto prende mai forma. Ma lui non si lamenta più di tanto, considera le difficoltà, anche quelle prodotte dalla più stupida burocrazia, una condizione inevitabile. Intanto il progetto va avanti. Ringrazia tutti, sa che molti, a partire dal Comune di Napoli e dalla Regione, litigano nel tentativo di appropriarsi del successo, ma non ha difficoltà a riconoscere a tutti il merito di aver creduto in lui. Eppure un padre protettore c’è ed proprio quel Bellenger che troviamo ormai un po’ da per tutto in città, fiero paladino di ogni cosa nuova che si muove intorno alla Reggia di Capodimonte, come nel caso dei ragazzi della Paranza. L’Istituto Caselli è anche proprietario del marchio ufficiale della Real Fabbrica di Capodimonte. Quella “N” azzurra incoronata
” Trecento allievi e un corpo docenti di una ottantina di membri
che troviamo sui lussuosi servizi di piatti della Regina Maria Carolina, ma anche su ogni altro artefatto realizzato in porcellana, che per più di un secolo ha arricchito le residenze della corte napoletana, rendendola all’altezza delle altre casate europee che si fregiavano delle ceramiche di Limoges, di Meissen o di Boemia. Solo che quelle fabbriche reali hanno resistito nel tempo diventando imperi economici e marchi conosciuti in tutto il mondo, mentre noi abbiamo irresponsabilmente di- sperso questo inestimabile patrimonio.
De Bartolomeis non ha dubbi, bisogna tornare a produrre. Aspetta solo la consegna dei nuovi macchinari che ha ordinato. Stampanti 3D per ricostruire, a partire dai pezzi originali, gli stampi andati dispersi. Nuovi torni, forni più moderni. Con la rinnovata produzione si potrebbe intanto iniziare con il rifornire i bookshop dei Palazzi Reali di Napoli e Caserta, dando così lavoro a decine di artigiani, a tanti ex allievi, ma anche alle piccole aziende del territorio. Se domani venisse in mente a qualcuno di rimuovere o promuovere ad altro incarico questo signore, tutto scomparirebbe di nuovo nella zona più inaccessibile del bosco. Così come sono sicuro che se lo si lasciasse lavorare in tranquillità l’Istituto Caselli diventerebbe rapidamente un esempio da seguire a livello nazionale.
Sappiamo che mancano all’appello nelle scuole italiane circa 2.700 dirigenti scolastici. L’insipienza dei governi che si sono succeduti in Italia è dimostrata dal fatto che in oltre 15 anni non sono stati nemmeno in grado di selezionare una classe dirigente per modernizzare la nostra scuola. La spiegazione del fallimento della “buona scuola”, della riforma per l’autonomia scolastica o di ogni altro tentativo dirigistico di mettere le mani sul sistema formativo pubblico, che invece è ormai collassato, sta tutta qui. Penso che anche la selezione dei nuovi dirigenti scolastici — che si sta svolgendo nel disinteresse generale e tra mille ricorsi — dovrebbe orientarsi di più, come ci insegna il caso del Caselli, a selezionare persone dotate di competenze manageriali e non solo amministrative o didattiche. L’autonomia è uno strumento, non il fine. Il “capo” di una scuola deve disporre di quella dose di imprenditorialità indispensabile per dare un senso e obiettivi chiari ad un progetto di scuola, ma anche saper conquistare il consenso necessario — dentro e fuori la scuola — per produrre un cambiamento reale.
Lo scopo del dirigente è quello di tonare a produrre a grandi livelli