Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Uslé, frammenti di una storia sulla tela
Immersi nelle tele di Juan Uslé ci risuonano le sue parole: «il dipinto è sempre un’entità autosufficiente — è il presupposto del celebre artista spagnolo — perché si tratta di un oggetto completo non solo nei suoi quattro lati, ma anche nella stratificazione verticale della sua superficie».
Soprattutto se si tratta del gesso che il pittore di Santander (1954) che dal 1980 vive e lavora tra New York e la città spagnola di Benissa, stratifica in abbondanza mentre prepara la tela perché quel materiale affiori sempre in modo da diventare presenza forte, evidentemente leggibile. Specialmente in «Pedramala», la sua seconda personale (la prima nel 2013), progetto site specific, nella galleria Alfonso Artiaco. In mostra quattordici piccole e grandi tele che lungi dall’essere rappresentative trasmettono una volta di più la visione dell’artista (le sue opere sono esposte in molti musei e fondazioni, tra i quali il Centro Galego di Arte Contemporanea di Santiago de Compostela, il Kunst Museo di Bonn, il Museo di Arte Contemporanea e Moderna di Palma e la Fundazione Bancaja di Valencia), volutamente disorientante ed essenzialmente poetica. Sempre ricca di interazioni complesse, sempre in continuo riferimento con la filosofia, il cinema, la letteratura, la storia dell’arte. Quasi sempre Uslé dipinge per giustapposizione. Vale per il colore e per le linee che si alternano e si sovrappongono quasi fossero frammenti di una storia. E sempre attraverso una costante dicotomia tra elementi contrapposti e complementari allo stesso tempo: ordine e caos, presenza e assenza, piattezza e profondità. Come nel caso di «Soñé que Revelabas» (Sogni che rivelano), la sua serie più famosa. Attraverso una pratica profondamente introspettiva, l’artista riesce a dare forma al suo «io» più intimo connettendosi ritmicamente con la sua respirazione e rendere così ogni pennellata una rappresentazione simbolica del battito del suo cuore. «Comincio ad ascoltare e riconoscere il silenzio che mi circonda — ci spiega — meditando fino a sentire il sangue che circola nel mio corpo e poi presto attenzione ai battiti del cuore, facendo segni, uno per uno, riga dopo riga, svuotandomi fino a coprire l’intera superficie della tela». Senza contare il tempo, perché «c’è un passaggio dal silenzio iniziale al suo riconoscimento fisico e l’esecuzione di un rituale che raggiunge un silenzio più profondo, dove il tempo scompare». Fino al 2 febbraio.