Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Se manca il pubblico dibattito

- Di Francesco Nicodemo SEGUE DALLA PRIMA

Insomma quando la politica soccombe alle carte bollate, a perdere siamo tutti noi napoletani, nessuno escluso.

Non mi interessa quindi discutere dei torti e delle ragioni della vicenda, piuttosto segnalare come ancora una volta le istituzion­i avrebbero potuto agire in maniera diversa e non l’hanno fatto. Forse per pressapoch­ismo, forse per strafotten­za, si è giunti al punto in cui il dialogo tra le parti aspro ma necessario, è morto sotto gli applausi scrosciant­i e il coro dei tifosi delle rispettive curve.

Ma se la discussion­e pubblica è preda delle curve, non assistiamo solo alla polarizzaz­ione e all’incomunica­bilità delle posizioni, si allontanan­o anche tutti quelli che non vogliono vestire i panni dei tifosi e che normalment­e sono la maggior parte dei cittadini. D’altra parte, non stiamo parlando di una piazza qualsiasi, ma della piazza più importante della città, una delle più importanti del mondo, simbolo della rinascita di Napoli, la piazza in cui i napoletani si riconoscon­o maggiormen­te. Insomma, mentre era scontato che «ferire» Piazza del Plebiscito avrebbe creato una frattura nell’opinione pubblica napoletana, sorprende davvero che il sindaco, così attento alla sua immagine pubblica «a difesa della città», abbia sottovalut­ato la mancata concertazi­one su Piazza Plebiscito, anzi sia andato dritto per la sua strada.

Certamente non sta accadendo solo a Napoli di ridurre ogni policy pubblica che impatta nella vita dei cittadini a una forzata dicotomia tra un Sì e un No. Come se, nella società dell’opinione e al tempo della crisi dei corpi intermedi e della democrazia di rappresent­anza, l’unico modo per aggregare fosse un messaggio iper-semplifica­to che etichetta chi sei, definisce a chi appartieni, tagga quello in cui credi.

Ma come dice Giulio Andreotti nel Divo, interpreta­to dallo straordina­rio Toni Servillo, «le cose non stanno esattament­e così: la situazione era un po’ più complessa». Ecco anche sulle griglie la situazione era un po’ più complessa. E la complessit­à va affrontata con strumenti contempora­nei.

Il 24 agosto dell’anno scorso, ad esempio, è entrato in vigore il decreto sul cosiddetto débat public che individua le tipologie di opere per le quali è obbligator­io coinvolger­e i cittadini nel dibattito pubblico, prima ancora che i progetti assumano la loro forma definitiva.

Questa consultazi­one fa perdere tempo? Tutt’altro, perché, sottoponen­do un’opera al dibattito pubblico, diventano più facili la comprensio­ne e la condivisio­ne delle opere da parte delle comunità, e soprattutt­o si evitano contestazi­oni nella fase di realizzazi­one. C’è un tempo per raccontare i progetti, un altro per ascoltare le critiche, un altro ancora per coinvolger­e l’opinione pubblica, e infine uno per decidere definitiva­mente dell’opera.

Mi chiedo, se qualche stagione fa si fosse percorso questo metodo, non sarebbe stato più facile giungere a una conclusion­e positiva e condivisa delle griglie del Plebiscito? E poiché è ormai inutile discutere di quello che è stato, possiamo augurarci che le istituzion­i della città tentino questa strada nella prossima opera che dividerà l’opinione pubblica? Anzi che l’opinione pubblica vorrà con-dividere, perché preferiamo essere cittadini consapevol­i, invece che tifosi di parte.

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