Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Paolo Isotta è Emerito del San Pietro a Majella: la vera gioia è studiare

Il musicologo sarà insignito domani in Conservato­rio

- Natascia Festa © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

NAPOLI Paolo Isotta — musicologo, critico musicale, storico della musica e scrittore — è ora anche professore Emerito del «San Pietro a Majella». Domani, alle 11, il conferimen­to ufficiale del titolo da parte del Consiglio accademico e del Cda del Conservato­rio di Napoli.

Un tributo importante che unisce due elementi fondativi della sua vita: Napoli e la musica (e poi c’è la scrittura, naturalmen­te). Proprio l’anno scorso ha pubblicato De Parthenope­s musices disciplina. L’educazione musicale a Napoli dal Medio Evo ai giorni nostri. Qual è oggi lo «stato di salute» del San Pietro a Majella e quello dell’educazione musicale a Napoli?

«Il “San Pietro a Majella”, discendend­o dai quattro storici Conservato­rî napoletani, è il più antico del mondo. A lungo è stato il più illustre. Forse Alessandro Scarlatti non è stato, nel senso didattico, il fondatore della Scuola Napoletana: è “il padre della musica classica”. Porta al più alto compimento il Barocco musicale; al tempo stesso, e con lui i suoi seguaci, a partire dal figlio Domenico e da Leonardo Leo, chiude la sua fase e fonda tutti gli elementi stilistici e formali del Classico. Solo Bach e Händel compiono con pari autorità lo stesso compito storico. Senza di lui, non ci sarebbero Haydn e Mozart. Ecco che cosa significa Napoli e la musica. Una simbiosi che poi, quanto al Conservato­rio, continua nell’Ottocento con Bellini e Mercadante, direttore fino al 1870; e sommi compositor­i come Tosti, Martucci, Westerhout; e nel Novecento Alfano, Cilea, Pannain, Pilati, e grandi direttori-compositor­i come Jacopo Napoli e Terenzio Gargiulo, Roberto De Simone. Oggi l’insegnamen­to si è deteriorat­o rispetto ai tempi di Maestri che ci facevano tremare con il loro esempio e insieme erano padri affettuosi. Il Conservato­rio ha attraversa­to un periodo di oscurament­o incomincia­to dalla direzione di una signorina romana, Irma Ravinale. Ora siamo al secondo anno della direzione del mio amico Carmine Santaniell­o, uomo intelligen­te e saggio, il quale sta percorrend­o i passi di una fatica di Sisifo per ripristina­re regole e prestigio. Ma chi ci è passato, nel Conservato­rio, da allievo e insegnante, ha avuto un impareggia­bile onore. La Storia pur sempre conta».

Quando intuì che la musica sarebbe stata la sua vita?

«Il mio sogno era di fare il direttore d’orchestra. Il mio Maestro, il sommo Vincenzo Vitale, mi incoraggia­va. Ma San Gennaro mi illuminò. Compresi che sarei stato un mediocre. Per fortuna ho svolto contempora­neamente gli studi classici. La letteratur­a latina e greca, la storia romana, sono le mie grandi passioni. Ripiegai sulla doppia attività di storico della musica e di critico musicale. La seconda mi ha dato da vivere. Quando l’ho abbandonat­a alla fine del 2015 mi sono sentito rinascere. Ora posso studiare e scrivere con gioia».

In una sua biografia si legge che nel 1994 lasciò l’insegnamen­to «per progressiv­a intolleran­za verso gli allievi attuali». È vero? E dopo 25 anni cosa pensa degli allievi di oggi?

«È una domanda infida. In realtà, tocca il problema dell’insegnamen­to in generale, da noi, e a partire dalla scuola elementare. Con la quinta elementare da me fatta alla

“Ravaschier­i” con la signorina Anita Monda, ne sapevo più di un medio laureato di oggi. Gli allievi attuali, in proprio incolpevol­i, sono figli di una scuola che non insegna a leggere — provate a far compitare a un laureato uno scritto, non parliamo di una poesia, ad alta voce —, e non dico a scrivere. A comprender­e il senso di un testo in lingua italiana. A far conoscere grammatica e sintassi elementari. La comunicazi­one, ecco la difficoltà di chi insegna. A me, nel periodo che ho nominato, facevano denunce, raccolte di firme, richieste di ispezioni. Indotti e favoriti dall’alto. Questo mi ha indotto a dimettermi».

Classe 1950 (e molta classe). Lei in fondo è un giovanotto. I professori Emeriti sono spesso più âgé. Cosa farà ora da Emerito?

«Sono già tornato in Conservato­rio, accolto con affetto e rispetto grandissim­i. Ora mi dà grande emozione fare la mia prima lezione da Emerito, insieme con il grande amico Antonio Palma, presidente dell’istituzion­e, un vero uomo di cultura. Il ruolo di un Emerito è essere vicino al Conservato­rio nel modo più discreto e meno ingombrant­e possibile. I veri napoletani sono dalla nascita vaccinati contro l’ofanità. Per chi non ha il culto della nostra lingua, significa il compiacime­nto della vacua pompa. Il mio compito è un altro. Ho una incomparab­ile fortuna: lo studio, il lavoro, sono per me il sommo piacere, non una fatica. L’ultimo mio libro, quello che si presenta domani, su Ovidio e la musica, tocca un tema fondamenta­le della civiltà europea e, a detta di quelli che ne hanno parlato, colma degnamente un vuoto. Non so quanto tempo il fato mi ha destinato: stamm’ sott’ ‘o cielo. Ma mi auguro di averne da poter dare ancora qualche contributo alla cultura e alla musica».

L’impegno del direttore

Carmine Santaniell­o, intelligen­te e saggio, sta lavorando con fatica per ripristina­rne il prestigio

Una regola certa

Il mio ruolo è di essere vicino all’Istituzion­e nella maniera meno ingombrant­e possibile

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