Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Forcella
Se non per il fatto che rifarà la chiesa a suo modo; insofferente di condizionamenti, come ogni grande professionista, quando ritrova sotto la chiesa i resti di un edificio romano, che pure rileverà con cura, scrive al fratello Urbano: «Questo ritrovamento potrà dare qualche moto a questi pedanteschi antiquari...», e lo fa abbattere.
Ai Governatori prepara un discorso modernissimo che noi, uomini d’oggi, conosciamo perfettamente: riparare non conviene, ci vorrebbero troppi soldi, meglio rifare daccapo. In realtà la chiesa nuova resterà compresa tra la muratura ad oriente lungo il cortile, e i locali superstiti ad occidente, sull’antico basamento: perciò la sostanza della riedificazione è che si rifà l’interno della chiesa ed una nuova cupola, apponendo, sulla via, una nuova facciata concava, incerta nell’impaginato di maniera, a confronto con l’ingresso cinquecentesco al cortile.
Tutto succede all’interno: si può immaginare nella chiesa cinquecentesca la ripetizione e la lentezza rituale, antica, di un percorso della navata con ben sette cappelle per ogni lato, prima di raggiungere il transetto e la luce dell’altissimo tamburo della cupola, cui seguivano il presbiterio e lo stretto coro. Nella nuova chiesa entri in piena luce e vedi tutto e subito; fino in fondo all’abside curvo, lo sguardo è risucchiato dalla imperiosa sequenza ravvicinata delle venti coppie di colonne architravate, che si protendono da ogni pilastro dentro questo ambiente, conferendo unità perentoria alla sequenza di atrio, cappelle, transetto, presbiterio, abside, forse persino disarmonica nella composizione planimetrica, ma avvolgente e grandiosa nella sua realtà spaziale.
Anche per consentire di disporre di una chiesa temporanea durante i complessi lavori, Vanvitelli li fece precedere dalla costruzione di una chiesa inferiore in perfetta corrispondenza della cupola, che avrebbe eretto sul transetto superiore. Come ha scritto Roberto Pane: “è qualcosa tra la cripta ed un mausoleo paleocristiano”, nel quale alla circonferenza del terrapieno, modulata da nicchie e cappelle e interrotta dai due accessi con gradinate sinuose, corrisponde un giro più stretto ottenuto con archi a tutto sesto su colonne che finiscono accoppiate da un tratto architravato ognuna con quella dell’arco contiguo. Un’architettura perfettamente conclusa, tecnica per corrispondenze essenziali di forma e di struttura, un esercizio tipologico, come una variazione su un tema; e qui, diversamente dalla chiesa, la spazialità è risultato univoco della corrispondenza di necessità tra pianta ed alzato.