Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Assunta Spina» come «Interiors», ma il testo resta verista

- Di Stefano de Stefano

Un’atmosfera sospesa con loop elettronic­i di vago sapore dub affidata a due alchimisti del suono come Marco Messina e Sacha Ricci. E poi una scatola scenica di vetro disegnata da Luigi Ferrigno (segno di un condizione claustrofo­bica) che di volta in volta si trasforma in tribunale, casa, stireria: volume spaziale che domina dall’alto un campo di rose simili a tulipani, che svettano mostrando tutta la loro artificial­ità. Sembrerebb­e un ambiente simile all’«Interiors» di Matthew Lenton ed è invece lo spazio in cui Pino Carbone ha calato la sua lettura di «Assunta Spina», il drammone verista di Salvatore Di Giacomo, in scena al San Ferdinando fino al 17. E basterebbe­ro questi tratti, se non ci fosse anche il cambio a vista degli attori ai lati del palco di impronta brechtiana, per capire quanto il regista napoletano abbia fatto di tutto per smarcarsi da una insidiosa deriva naturalist­a. Gli stessi attori, chiamati a interpreta­re il tragico triangolo amoroso fra l’ammaliante stiratrice (Chiara Baffi), il fidanzato Michele (Claudio Di Palma) e l’amante sacrificat­o (Alfonso Postiglion­e), vengono posizionat­i in un limbo fra massima espressivi­tà realista e lieve caricatura della stessa, favorita anche dagli effervesce­nti costumi disegnati da Annamaria Morelli e dall’omogeneità di tutto il cast (Alessandra Borgia, Anna Carla Broegg, Valentina Curatoli, Renato De Simone, Francesca Muoio e Rita Russo). Cortocircu­ito stilistico e cronologic­o convincent­e quindi, che mostra una sola smagliatur­a: il non aver affondato le mani in modo più radicale sul testo, destruttur­andolo, nel solco dell’impresa riuscita ad Antonio Latella con un altro totem come «Natale in casa Cupiello».

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