Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Assunta Spina» come «Interiors», ma il testo resta verista
Un’atmosfera sospesa con loop elettronici di vago sapore dub affidata a due alchimisti del suono come Marco Messina e Sacha Ricci. E poi una scatola scenica di vetro disegnata da Luigi Ferrigno (segno di un condizione claustrofobica) che di volta in volta si trasforma in tribunale, casa, stireria: volume spaziale che domina dall’alto un campo di rose simili a tulipani, che svettano mostrando tutta la loro artificialità. Sembrerebbe un ambiente simile all’«Interiors» di Matthew Lenton ed è invece lo spazio in cui Pino Carbone ha calato la sua lettura di «Assunta Spina», il drammone verista di Salvatore Di Giacomo, in scena al San Ferdinando fino al 17. E basterebbero questi tratti, se non ci fosse anche il cambio a vista degli attori ai lati del palco di impronta brechtiana, per capire quanto il regista napoletano abbia fatto di tutto per smarcarsi da una insidiosa deriva naturalista. Gli stessi attori, chiamati a interpretare il tragico triangolo amoroso fra l’ammaliante stiratrice (Chiara Baffi), il fidanzato Michele (Claudio Di Palma) e l’amante sacrificato (Alfonso Postiglione), vengono posizionati in un limbo fra massima espressività realista e lieve caricatura della stessa, favorita anche dagli effervescenti costumi disegnati da Annamaria Morelli e dall’omogeneità di tutto il cast (Alessandra Borgia, Anna Carla Broegg, Valentina Curatoli, Renato De Simone, Francesca Muoio e Rita Russo). Cortocircuito stilistico e cronologico convincente quindi, che mostra una sola smagliatura: il non aver affondato le mani in modo più radicale sul testo, destrutturandolo, nel solco dell’impresa riuscita ad Antonio Latella con un altro totem come «Natale in casa Cupiello».