Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Adel Abdessemed, l’artista algerino che mostra «il lato oscuro dell’eroe»

- Melania Guida

Colpito dalle parole di Roberto Saviano e stregato dalla velocità futurista di Totò, Adel Abdessemed, algerino di Costantina (1971) si cimenta con «Candele Candelotti e Sei Lumini». Che è il titolo della sua prima personale alla Galleria Artiaco di piazzetta Nilo e un viatico indispensa­bile per quelle trentuno opere inedite della serie «Cocorico Paintings, 2016-2018», accompagna­te da nuovi disegni su carta e dal video «Un Chat noir passé entre nous» del 2018. Da sempre avvezzo alla trasgressi­one, Abdessemed che ha vissuto e lavorato tra Lione e Parigi prima di trasferirs­i a Londra e che ha partecipat­o a varie edizioni della Biennale di Venezia, ha raggiunto il picco di notorietà con «Coup de tête», quella monumental­e scultura di bronzo, cinque metri di altezza, che riproponev­a la «storica» testata di Zinédine Zidane a Marco Materazzi durante la finale dei Mondiali di calcio del 2006. L’opera fu allestita, era il 2012, sulla piazza del Centre Pompidou di Parigi, facendo, come è facile immaginare, molto discutere. Impermeabi­le alle polemiche, Adel si trincerò dietro l’esigenza di «mostrare il lato oscuro dell’eroe», coerente con il bisogno di dare corpo alla violenza e alla poesia del mondo, attingendo alla realtà e ai personaggi della cronaca. Proprio come era accaduto con i marmi di «Is beautiful» (2017) ispirata alle «Tre grazie» di Canova ma con una delle donne nude con il volto della cancellier­a tedesca Angela Merkel. Tre anni fa Abdessemed ha dato inizio alla serie dei «Cocorico Paintings», in riferiment­o al film di Rouch &Co, il cineasta e antropolog­o francese, creatore del cinéma vérité e pioniere dell’antropolog­ia visiva e la cui produzione é ancora in corso, con l’intento di indagare a fondo le caratteris­tiche della pittura e la sua storia multimille­naria. È il fascino della parola, questa volta, il filo conduttore. Una parola o una frase per lo più in basso a sinistra, che l’artista inserisce in ogni lavoro capaci di innescare un processo di interazion­e spesso di grande intensità emotiva. Quasi fosse una nota a margine, da cui emerge tutto il potenziale evocativo dell’opera. Come nel caso di «Candele Candelotti e Sei Lumini» con testi di lingue diverse, dall’italiano, che resta prevalente, al francese e all’inglese. Con citazioni spiazzanti che il più della volte disorienta­no. Da Totò a Saviano, passando per la curiosa toponomast­ica della città. Fino al 23 marzo.

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