Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Investimenti anticrisi
Sul destino del Sud incombe l’attuazione della autonomia differenziata. Se fossero concessi i poteri richiesti dai governatori del Veneto e della Lombardia si avrebbe l’esito peggiore: i ridotti trasferimenti di risorse peserebbero in modo inesorabile sul ritmo di crescita del Sud. Ma non c’è da temere meno un allargamento dell’autonomia regionale in termini più moderati: ne risentirebbe comunque l’unità nazionale. Il regionalismo spinto non fa bene a un Paese come l’Italia. La maggiore lezione a questo riguardo la offre una intelligenza realistica come Giustino Fortunato. Ribadito che sul tappeto della politica italiana la questione dell’autonomia resta in primo piano, non bisogna distrarre lo sguardo dagli sbocchi che la congiuntura recessiva potrà avere nel Sud. Le previsioni del Governo sulla crescita di quest’anno sono assai divergenti da quelle elaborate da istituzioni nazionali e internazionali (1 per cento contro 0,2-0,6). Su un obiettivo fondamentale di politica economica il governo gialloverde si trova del tutto isolato. Sorge il sospetto che il linguaggio dei Di Maio e dei Salvini sia propagandistico. Conte e il ministro Tria hanno tentato spesso di attenuare le posizioni dei due leader che apparivano poco responsabili; ma non hanno mai avuto la forza di correggere lo smaccato e strumentale ottimismo espresso dai due sugli effetti della manovra. Nella crisi che attraversa il Paese gli effetti congiunturali negativi sono più gravi che in qualsiasi altro paese dell’Ue. Appare paradossale che l’Italia, seconda economia manifatturiera d’Europa, sia poi ultima per tasso di crescita: così quel colossale macigno che è il debito pubblico è difficile rimuoverlo. Bisogna dire che sussiste una specificità della crisi italiana che le forze politiche di ogni colore non riescono a decifrare e tradurre in piattaforma programmatica; ma la lentezza, l’ondeggiare, le ripulse, i ritardi nell’azione del governo grillino-leghista sembrano avere qualcosa di stravagante. Non si può immaginare che il governo Conte possa cambiare registro convincendosi che la condizione del Paese è tale che se ne può uscire solo attraverso una organica politica di sviluppo, scandita con la logica della programmazione. Non è invece fuori del possibile la richiesta che proviene soprattutto dagli ambienti industriali del Nord di «aprire i cantieri delle infrastrutture che hanno già completato l’iter burocratico e hanno ottenuto stanziamenti per 24 miliardi». Ne trarrebbe vantaggi soprattutto il Nord che ha presentato il maggior numero di progetti; ma la spinta per la ripresa economica del Paese sarebbe maggiore di quella che prevedono i grillini per merito del reddito di cittadinanza. Con pari realismo si può invocare che al Sud siano accelerati gli investimenti assegnati dai fondi europei. Lo sviluppo del Sud ha bisogno di ben altro, ma intanto è giusto operare per ridurre gli effetti della bassa congiuntura.