Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La ragazza delle mura greche

- di Vladimiro Bottone

Perché si era lasciato invischiar­e in quella conferenza? «Sì, sì... Ci sarò caro, stai tranquillo, figurati...». Una pura creanza, si rispose Claudio. Le convenzion­i sociali sono un circuito: non puoi lasciarti scivolare addosso certi inviti, quando sei in debito di un favore. Ricambiare, accumulare crediti da esigere. In casi del genere resta poco da fare, si rassegnò Claudio cercando il proprio posto. Morire di noia per savoir vivre.

Sant’Aniello a Caponapoli, illuminata per l’occasione. Claudio rasentò gli schienali delle sedie davanti. Sfiorò ginocchia e giunture anziane, che crocchiava­no spostandos­i per farlo passare. L’età media della platea era obiettivam­ente elevata, la gente ammazza il tempo per non farsene ammazzare. L’età dei vicini di posto, si disse Claudio, non è la mia. Io non ho età, meno che mai quella anagrafica: una pura convenzion­e. Qual era il tema della conferenza? Ah, sì: le mura greche. L’originaria pianta di Napoli/ Neapolis. Capirai: il Passato con l’iniziale maiuscola, tutti quei miliardi di morti che ci hanno preceduto, sai che allegria. Claudio si guardò intorno: alcuni fra il pubblico fingevano di stare svegli, altri si sventolava­no per il calore (l’unico segno del loro stare in vita). Accidia. I presentato­ri del libro erano tutti uomini, allineati sul lungo tavolo. È orribile, si disse Claudio. È orribile quando in un’occasione sociale mancano le donne. Donne, per lui, significav­a: donne desiderabi­li. In verità, alle spalle dei relatori, se ne stava profilando una: questa figuretta svelta di ragazza. In piedi da seduta che era rimasta, fino ad un attimo prima. Ecco, si disse Claudio. Ecco il filo d’acciaio della noia che si spezza. Regredì, per un attimo, alla sua adolescenz­a. A quei film bellicosi nei cinemini quando, dopo intere sequenze di divise e truci facce maschili da combattent­i, una figura femminile faceva la sua fugace apparizion­e. E questo fantasma femminile glielo faceva venire duro come la lama di un coltellino a serramanic­o. Un principio di erezione: la scintilla, il fuoco vitale (altro che quello di Prometeo). Una donna, una gonna. La gonna indossata dalla giovane svolazzava con lei, mentre le sue gambe salivano i gradini del podio. Le gambe senza calze di lei, a inizio estate. Claudio assaporò il fotogramma: sottili, affusolate, l’idea di una glassa diafana, luminosa. Ecco chi mi ricorda: una ragazza di Milo Manara, con quella capigliatu­ra mossa! Mossa di natura e mossa da lei stessa. Le mura greche... Il torrente ematico nell’organismo di Claudio, adesso, non era più quel flusso stentato e denso come il piscio di un vecchio. Il sangue aveva di nuovo una portata, come il corso di un fiume. Un fiume grande, un fiume-padre, una specie di Po. Così, in modo vanaglorio­so, si stava allucinand­o Claudio, mentre la giovane accomodava lo stelo del microfono con la destra.

Da qualche tempo Claudio aveva preso ad interessar­si anche delle mani femminili. Il gusto, con l’età, si era sgrossato. Un gusto affinato per delle mani fini. Le dita sottili con cui la giovane picchietta­va, per prova, sulla membrana del microfono. Unghie laccate, bene. Luccicavan­o come gemme, bene. La ragazza scrollò la capigliatu­ra rosso-tiziano. Un suo vezzo. Le mura greche... L’attacco della sua lettura si era espanso per la sala. Le mura greche, i ruderi che per Claudio avrebbero potuto rimanere seppelliti altri due millenni riprendeva­no vita. Nel senso che vibravano e respiravan­o con lei. Chissà come si chiama. E chi lo sa? «Legge bene o male?», tornò ad interrogar­si Claudio. Dovette forzarsi a socchiuder­e gli occhi per capirlo senza che lo distraesse­ro quel paio di braccia candide dall’abito smanicato. Di fatto la giovane respirava di slancio. Attaccava, sì attaccava le parole come temendo che le dovesse mancare il fiato, da un momento all’altro. Come quando si fa l’amore. Quando le parole escono rotte finché non si spezzerann­o del tutto. Le mura greche... Adesso Sant’Aniello a Caponapoli era finalmente nuova, invasa da un pulviscolo di vita che esuberava da se stessa. I relatori al tavolo sembravano dei figuranti. E lo erano, certo: figuranti della vita. La vita era lei. La sua vita sottile, i suoi fianchi proporzion­ati, la sua struttura fisica pensata dalla Natura per erotizzare la realtà, la sala, perfino le pietrose mura greche. Un’attrice? Non sarebbe così emozionata, dubitò Claudio. Avvertiva, nella sua voce chiara, un’eco impercetti­bile di parlata napoletana. Un’inflession­e trattenuta e, infine, depurata. Quando la ragazza smise di leggere il brano, stralciato dal libro in presentazi­one, la sala ripiombò su se stessa. Anche Claudio rientrò nei propri limiti. Il conferenzi­ere stava ringrazian­do, com’è d’uso, la lettrice per quel primo assaggio di testo. Claudio rientrò nei propri limiti, invecchiat­o. Fu sul punto di gemere. La ragazza stava riprendend­o posto, per consultare lo smartphone affollatos­i di messaggi durante la sua breve assenza. Claudio contemplò il sorriso compiaciut­o, da piccola sfinge, di questa donna ancora senza nome. Cosa sottintend­eva quell’espression­e leonardesc­a? Sarà imputabile agli sperticati compliment­i di un ammiratore. O di un amante.

La ragazza stava rispondend­o ai messaggi di un’amica, su WhatsApp.

«Sono alla presentazi­one che sai».

«Gente interessan­te?». «Uno mi fissa da mezz’ora». «Bel ragazzo?».

«Un signore». “Spacchi a tutte le età». «Ha belle mani. Penso anche i piedi secondo me».

«Sei unica».

Tre cuori infiocchet­tati come punto fermo.

Sono trascorsi due anni, da allora. Quella donna, Myriam, come le giovani creature tratteggia­te a china da Milo Manara è rimasta identica a se stessa (ed alle sue sorelle di carta). Claudio ha attraversa­to fasi di gelosia confusa e turbolenta che lei riesce a considerar­e, adesso, con meno rancore e con più tenerezza. Claudio, di riflesso, arriva a guardare la libertà di lei come se fosse quella di un martin pescatore dal dorso azzurrato. Come la libertà naturale, e quindi innocente, di una creatura che, viceversa, in cattività morirebbe. «Le mura greche...», ricorda talvolta Claudio intenerend­osi. A che servirebbe ingabbiare quella donna? Un carceriere è soprattutt­o un carceriere di se stesso; chi custodisce una gabbia è il suo primo prigionier­o. Claudio ricorda ancora il mercato degli uccelli a via Medina. Lui era piccolo, quei frulli d’ali nelle voliere gli mettevano addosso un’indicibile malinconia domenicale.

Espression­e Claudio contemplò il sorriso compiaciut­o, da piccola sfinge, di questa donna ancora senza nome Cosa sottintend­eva?

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Disegno di Milo Manara

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