Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il Mercadante e il pubblico Ancora pochi giovani
Caro direttore, mi permetto di scriverle una breve lettera per provare a dare una risposta a Enrico Fiore in merito ad alcune argomentazioni contenute nel suo articolo apparso, sul suo giornale, alla fine di marzo in cui si discuteva del pubblico del Mercadante. La questione del pubblico che va a teatro è davvero complicata da sviscerare. Nonostante io non ricordi la pubblicazione di specifici studi.
Magari accademici di indirizzo teatrale che abbiano indagato lo spettro sociale, l’attenzione, le attese, le motivazioni di chi va a teatro a vedere uno spettacolo, oggi come cinquecento anni fa, ogniqualvolta io mi sono trovato in una sala teatrale, ho sempre curiosamente scrutato intorno a me alla ricerca del tipo di pubblico presente. Cosa che faccio ancora oggi, da critico teatrale, per capire lo spettacolo che ho visto o che sto per vedere, indagando l’attenzione, le reazioni, gli sguardi di chi siede a teatro.
Le scrivo parlandole del pubblico perché quest’ultimo, come Fiore insegna, fa parte del rito teatrale, è l’interlocutore necessario della messa in scena, va considerato e rispettato. Forse dico cose ovvie, ma mi permetto di farlo perché credo di essere quel consigliere dell’attuale consiglio di amministrazione del teatro Mercadante che Fiore individuava, nel suo articolo, come tardo epigono del signor Lapalisse, riportandone una dichiarazione, forse troppo semplicista, nella quale si invitava il futuro direttore a provarsi nel portare più giovani a teatro. Facevo quell’affermazione perché guardandomi attorno in questi mesi nella sala del Mercadante avevo notato una scarsa presenza di giovani, cosa che non mi è capitata in quello stesso periodo frequentando, per esempio, il teatro Bellini.
Tuttavia, questa mia banale considerazione non vuole sottintendere che un pubblico a maggioranza di anziani sia una cosa da biasimare. A teatro ci va chi ci vuole andare, E non avrebbe senso, per riprendere un’accesa discussione durante la conferenza stampa di presentazione del programma del prossimo anno del nostro Teatro Nazionale, fare uno screening di valore del pubblico che frequenta il nostro teatro stabile in base all’età, al genere o alla provenienza geografica, come ha notato prontamente il presidente Filippo Patroni Griffi. Io credo che un teatro stabile debba essere orgoglioso di avere un pubblico numeroso e culturalmente stratificato. E non credo a strategie di programmazione in cui gli spettacoli più difficili o complicati vengono epurati dall’abbonamento di presunti anziani o di sedicenti provinciali, per essere collocati in una riserva indiana a vantaggio di raffinati intellettuali.
Credo che la cultura, declinata in una messa in scena teatrale, debba avere la forza di sorprenderci, a prescindere dagli strumenti di partenza che
ognuno di noi ha. Eschilo parlava a tutta la polis ateniese, come Shakespeare era capace di essere perfettamente compreso in scena da un pubblico radicalmente eterogeneo. E si potrebbe continuare per tutta la storia del teatro occidentale, arrivando fino ai giorni nostri, come nel caso di Sarah Kane in Inghilterra negli anni ’90 del Novecento. Per questo non ha senso valutare una presunta qualità culturale del pubblico.
Di fianco a questo discorso, sta il fatto che i giovani che frequentano il nostro Stabile non sono tanti. E questo è un problema grosso, perché bisogna oggi domandarsi chi sono gli spettatori di domani. Il vero sforzo di prospettiva che dovrà fare il Mercadante nei prossimi anni è quello di avvicinare le nuove generazioni al piacere e alla comprensione di quello che può accadere su un palcoscenico. Far aprire i loro occhi alla sorpresa che può essere il teatro. In questo senso credo che servirà nei prossimi anni un’attività di promozione e divulgazione relativi all’esperienza del teatro e, in particolare, attraverso il cartellone, variegato e suggestivo, del prossimo anno per intrecciare con i giovani della città di Napoli un discorso aperto e stimolante, capace di interessare e di far interagire. Dopo tutto, che cos’è il teatro se non meraviglia e relazione?