Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PADRE E FIGLIO ON THE ROAD TRENTO - BARI
La scrittura del nuovo libro di Guido Lombardi, Il ladro di giorni (Feltrinelli), nasce per il cinema: è evidente nella sua essenzialità, negli snodi delle scene, nel loro montaggio e nei dialoghi serrati. E non a caso la vicenda è diventata un film con Riccardo Scamarcio. Nella sua forma romanzesca, dopo un inizio abbastanza incerto, la storia assume una sua definita letterarietà e dà vita a un prodotto narrativo interessante, lontano dalla sbrigativa composizione di certi copioni, in direzione di una maggiore intensità. Il punto di vista è quello di Salvo, ragazzino barese di undici anni, che viene strappato alla sua quotidianità da una
serie di drammi: il suicidio della madre e la reclusione del padre, piccolo delinquente colpevole di aver sparato a un poliziotto. Salvo viene così preso in carico dagli zii materni e si trasferisce con loro a Trento, dove piano piano acquisisce una propria identità e una serenità opaca ma tranquillizzante. A sconvolgere questo tran tran è l’arrivo improvviso del padre uscito di prigione, ormai un estraneo per il bambino. È proprio l’assunzione nel racconto della prospettiva infantile, con una visione «dal basso», l’arma migliore di Guido Lombardi. Tutti i sentimenti che Salvo prova, dalla rabbia alla nostalgia per la sfuggente figura paterna, sono trattati in maniera assolutamente credibile e mai moralistica. Una materia emotiva magmatica che per il bambino è difficile dipanare e che viene offerta al lettore in questa sua genuina forma aggrovigliata. Così il viaggio verso sud di padre e figlio, tipico road movie di conoscenza e incontro scontro, viene narrato senza intenti edificanti, ma nella sua durezza non priva di ironia. E se talvolta alcuni episodi sembrano ricalcare pigramente stilemi della cinematografia italiana del genere, Lombardi mantiene una sua freschezza proprio nell’osservazione dell’infanzia e delle sue insondabili zone d’ombra.