Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Per niente Candida
Ciao Candida, mi chiamo Rosanna, dopo molti anni, neanche ricordo quanti, in cui è stata assistita da tutti noi figli a casa, mia madre novantenne si è rotta il femore e è ora in ospedale dove ci alterniamo io, mia sorella e la sua badante. Sono stanchissima perché mi divido fra il lavoro, la mia famiglia, l’ospedale e lei soffre moltissimo, tutti i nostri sforzi non servono a niente. Ormai, con la testa, non è più con noi. Non ci riconosce, viviamo aspettando l’attimo in cui sembra che, per un momento solo, ancora sia presente. Ogni volta, però, dobbiamo dirci che è solo un’illusione. A volte, mi auguro che passi a miglior vita, me ne vergogno, è una cosa che non riesco a dire a nessuno, riesco solo a scriverla a lei che non conosco.
Rosanna
Cara Rosanna, non dovremmo mai vergognarci delle nostre fragilità né di desiderare il meglio, fosse anche il sollievo di andarsene, per le persone che amiamo. In Italia, ci sono quasi tre milioni di anziani non autosufficienti e il suo è il calvario di tante famiglie. La vecchiaia è un massacro, scriveva Philip Roth. E lo è non solo per i vecchi, ma per i loro figli. C’è un’età in cui ruoli s’invertono, noi siamo gli adulti accudenti e loro i bambini. È il ciclo della vita che sembra andare al contrario, eppure, ci ricorda che tutto è un dare e ricevere e che non dovremmo mai prendere più di quanto abbiamo dato. Nella lotta quotidiana con certe sofferenze, c’è il senso profondo della cura, che passa di generazione in generazione. La differenza è che, quando cresciamo un figlio, siamo sostenuti dalla motivazione di vederlo crescere libero e forte, quando accudiamo un genitore che ha perso la lucidità, ci sentiamo invece irrilevanti e sconfitti in partenza e fatichiamo a trovare il senso delle nostre fatiche e delle sue sofferenze. O ci sostiene la fede o ci sostiene questo senso di chiusura del cerchio, della forza presa che va restituita.
Nessun amore basta a colmare il vuoto di chi non si vuole bene a sufficienza Cara Candida, ho una compagna da circa un anno. Entrambi siamo quarantenni, il problema è che più il rapporto va avanti e si consolida, più divento dipendente da lei. È come se lei avesse il coltello dalla parte del manico e questo mi fa soffrire, perché se lei fa una cosa che io trovo sbagliata, non mi sento di affrontare una discussione per timore di rovinare il rapporto. Inoltre, se noto che lei ha atteggiamenti distanti, sto terribilmente male. Anche in passato mi sono capitate situazioni simili, ma meno accentuate di questa. Forse perché per la mia attuale compagna provo un’attrazione fortissima, lei mi piace molto, ma è anche molto molto più sicura di sé della media delle altre donne. A volte, senza volerlo, sbotto e le faccio la paranoia. Però, per la maggior parte del tempo, ai suoi occhi, cerco di non far vedere questa mia insicurezza, ma dentro vivo con la costante paura che qualcuno o qualcosa me la porti via, che lei non provi più nulla per me.
Federico
Caro Federico, la libertà non è esattamente il contrario della schiavitù. Altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile scegliere volontariamente la seconda. Ci crediamo liberi, ma dipendiamo da chi amiamo, quando siamo condizionati da traumi, complessi, paure. Credere che la nostra felicità dipenda dalla persona che amiamo, significa andare incontro all’infelicità certa. Nessun amore basta a colmare il vuoto di chi non ama a sufficienza se stesso, di chi ha bisogno del riconoscimento continuo dell’altro. Lei ha la lucidità di riconoscere che è sull’orlo del baratro e deve lavorare su stesso e sulla sua autostima. Valuterei anche l’altra metà del rischio. In casi come questo, l’altro o approfitta della sua posizione di forza e ne abusa, o comincia a soffrire le aspettative che gli vengono riversate addosso e, a un certo punto, si ribella o si sottrae. Gli esiti peggiori sono due: si esce dalla dipendenza affettiva o per autoimplosione o per espulsione operata dall’altro. Sempre, ovviamente, che non si acceda alla terza via, quella che riconduce verso la sicurezza in sé. Mi permetto anche di chiederle: chi è lei dentro questa coppia? Come può stare in una relazione censurando ciò che pensa, fingendo di stare bene quando invece sta male? Quale avatar di sé mette in scena dentro la relazione? Quale versione artefatta di sé sta offrendo all’altro? Quanta verità resta fra voi due? E lei crede davvero che «per la maggior parte del tempo» la sua compagna creda alla messinscena della sua sicurezza e che non percepisca l’odore della sua paura? Le donne, come i gatti, sono spiriti indipendenti, vogliono cibo e carezze Cara Candida, la mia fidanzata ama il suo gatto più di mia figlia. Sopporta la bimba che ho dalla mia ex moglie davvero a malapena. È sempre gentile, garbata, impeccabile, ma si capisce che ne farebbe volentieri a meno, che si annoia a giocarci e che non si fa in quattro per farla star bene. Non le fa mai regali, mostra in fondo un interesse superficiale per la bambina. Il suo gatto, invece, lo tratta come se fosse un figlio unico e desideratissimo. Lo coccola, gli compra le migliori crocchette, fa di tutto per lasciarlo solo il meno possibile e, quando partiamo per il weekend, pretende di andare solo nei posti dove accettano gatti. Mi domando se ci sono le basi per una relazione, o eventualmente una convivenza, con un ragazzo – padre.
Angelo
Caro Angelo, non mi costringerà a tifare per il gatto o la bambina. Salvo allergie, immagino possano convivere senza drammi. E comunque, esistono sempre gli antistaminici. Finché la fidanzata filofelina non graffia la bimba, non mi preoccuperei. Il punto è quanto lei riesce a distogliere l’attenzione dal gatto e concentrarsi sull’essenziale. Per esempio, se vuole altri figli. In quel caso, appurerei se alla ragazza manca proprio l’istinto materno o se, semplicemente, non scoppia di gioia a occuparsi di una figlia non sua. Può anche essere, perché no, che la sua fidanzata, per delicatezza, non voglia interferire nella vita di una bimba che la mamma ce l’ha già. Se invece entrambi non volete figli insieme e la sua fidanzata tratta con gentilezza la bimba (e se lei riesce a tollerare il gatto), la situazione mi sembra un incastro perfetto. Poi, ci sono donne che, come i gatti, sono spiriti indipendenti, che tornano a casa per prendere cibo e carezze, ma non si assoggettano mai a un padrone. E questa fattispecie anche ha un suo senso, dipende dal tipo di relazione che uno vuole.