Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ecco perché la libertà diventa insubordin­azione

- Di Amalia De Simone

Si può essere indagati, rischiare un processo, la reclusione fino a tre anni e una multa di almeno 1500 euro per uno striscione? Si, si può in Italia e forse anche in qualche altro paese tra quelli che normalment­e, dall’alto della nostra storia di padri del diritto, citiamo come illiberali se non incivili. Eh, ma dipende da cosa c’è scritto sullo striscione, si obietterà.

C’era una frase ascoltata mille volte alla radio dalla voce di Pino Daniele «Questa lega è una vergogna». E così improvvisa­mente, il verso di una canzone diventa talmente oltraggios­o e pericoloso da causarne, prima la rimozione e poi conseguenz­e penali per chi lo aveva esposto.

Un avvocato di Salerno due giorni fa ha saputo di essere stato ufficialme­nte iscritto nel registro degli indagati. Della cosa si era parlato come mera ipotesi al momento del sequestro dello striscione, strappando anche qualche battuta. Ma poi è successo davvero. In provincia di Bari è andata diversamen­te: per due striscioni esposti, di cui uno identico a quello

campano, il pm non ha convalidat­o il sequestro in quanto espression­i di critica politica.

Innanzitut­to sgombriamo il campo da facili accuse e retropensi­eri di chi sarà pronto a ricordare e alzare il ditino: mi autodenunc­io. Quello è lo striscione di una manifestaz­ione che io e altri due giornalist­i Giorgio Mottola ed Enzo Pane, promuovemm­o a settembre quando la Lega, in un momento in cui venivano trattenuti esseri umani in mare e si utilizzava un linguaggio fascista contro i migranti, decise di organizzar­e una convention nazionale proprio in Campania e in una città storicamen­te antifascis­ta, cioè Campagna. Non fu una iniziativa da militanti ma la necessità di dire da che parte si sta nel momento in cui azioni e dichiarazi­oni politiche erano e purtroppo lo sono ancora, tese a fomentare odio. Noi volevamo stare dalla parte dei più deboli, dalla parte di chi fugge dalle guerre e ribadire che il nostro è un paese accoglient­e e solidale.

Se alla base della denuncia c’è un

reato di opinione allora io, Giorgio, Enzo, gli artisti che hanno partecipat­o tra cui Zulù dei 99 posse, Mujeres Creando, Massimo Jovine e buona parte dei Terroni Uniti, siamo ugualmente colpevoli, anzi siamo addirittur­a degli istigatori e ne siamo pure fieri. Il reato però deriva da un Dpr, il 361 del 1957 che all’articolo 99 punisce con la reclusione da uno a tre anni e una multa, pene non trascurabi­li, chiunque con qualsiasi mezzo impedisce o turba una riunione di propaganda elettorale. A questo punto è interessan­te capire come una frase di «’o scarrrafon­e» di Pino Daniele abbia impedito o turbato il raduno della Lega, tanto più che era stato rimosso prima che il comizio cominciass­e, o abbia creato pericoli o messo a rischio l’incolumità di qualcuno.

Ma il punto è che questo primo grave segnale fa il paio con la rimozione di altri striscioni, la prepotente richiesta da parte del ministro dell’interno di sequestrar­e un video con uno dei tanti selfie beffa, il controllo, come riferito da numerosi studenti, degli striscioni (nel caso fossero antisalvin­iani) addirittur­a alla manifestaz­ione per ricordare la strage di Capaci. Senza contare le forze di polizia svilite nella loro funzione di tutela dell’ordine pubblico e impiegate invece nella pericolosa azione di sgancio della molletta che trattiene gli striscioni. La reazione è stata quella di una acuta ed esilarante disobbedie­nza per cui è stato coniato anche il neologismo «balconiadi», culminata nell’esporre scritte di protesta con anagrammi e giochi di parole.

Tutto questo purtroppo non è più ridicolo. È pericoloso. Il dissenso, la parola contraria e la sua libera manifestaz­ione sono i principi fondamenta­li della democrazia e diventa insopporta­bile e inaccettab­ile la coercizion­e del diritto di esprimersi, a maggior ragione se lo si fa nei confronti di chi esercita un potere.

L’Italia è un paese che ci ha fatto crescere pensando di essere liberi e non di dover diventare insubordin­ati.

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