Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il palazzo dei «Bastardi» a Pizzofalcone
Andrea Carafa, conte di Santa Severina, nel 1509 acquistò dal monastero di San Sebastiano, al quale apparteneva, un territorio a Pizzofalcone e, nel documento relativo, se ne definiscono i confinanti: a sud e ad est vi erano altre proprietà di San Sebastiano, a nord le estese proprietà del monastero di Monteoliveto e la chiesa di Santa Maria a Circolo, ad ovest un piccolo edificio fortificato, già esistente nel secolo XV.
Un’iscrizione, già citata dal
Celano, riportava la paternità dell’opera e la data di costruzione, «Anno Domini MDXII»: si trovava sul portone, ma non esiste più; Celano lo descrive come «… formato in isola a modo di fortezza …»; riporta Giulio Pane che «Altri territori furono presi a censo dai Carafa nel 1517 e nel 1522 a completamento della … proprietà …».
Alla morte di Andrea Carafa senza figli, nel 1526, «… il palazzo spettò ad alcuni nipoti che lo vendettero a Ferrante Loffredo marchese di Trevico». Riferisce ancora lo storico Giuseppe Ceci che il marchese fece lavori di ampliamento ed abbellimento.
Poi, nel 1561, fece anche erigere una chiesa ed un convento per i «Frati Domenicani della Congregazione della Sanità, i quali la intitolarono il Monte di Dio …»; nella veduta di Antoine Lafrery del 1566 questo piccolo complesso religioso, certo ancora incompleto, si nota proprio alla conclusione della via che ne porterà il nome, in pratica al confine delle proprietà di Monteoliveto, delineate nella Platea di Echia dal tavolario Galluccio nel 1689; dietro ad esso, disegnato con un’alta recinzione muraria, si staglia il giardino del marchese ed, infine, rimangono l’edificio della villa ed una restante porzione di suolo libero.
Un attento studio di questo edificio, al quale si rimanda, è stato fatto da Giulio Pane; il palazzo, nelle rappresentazioni seicentesche è sempre sovradimensionato, mentre, in realtà, il rettangolo del cortile presenta rapporti di modesta differenza di lunghezza tra i lati; vi si ritrovano conservati diversi modelli di ornie, cornici, portali di pietra che riconducono all’epoca della sua costruzione: scriveva Ceci nel 1892, «Dell’architettura severa, in cui fu costruito, dai belli archi a tutto sesto, dalle finestre tonde, senza cornice, circondate da un semplice dado di piperno, rimangono ancora alcuni avanzi in cortile …».
Presenta dappertutto gli elementi fondamentali della struttura e del vocabolario rinascimentale, i grandi archi degli androni, le finestre sia nel cortile che all’esterno, le paraste e gli archi della scala con volte a botte e a crociera, i motivi del toro in vari punti della costruzione: tutti elementi prima considerati da G. Pane. Tra il 1651 ed il 1670, villa e giardini vennero trasformati in caserme; nel 1808 il palazzo venne destinato a Biblioteca Militare ed Ufficio Topografico; con l’Unità d’Italia l’edificio venne destinato alla Sezione Militare dell’Archivio di Stato. Ai tempi nostri l’edificio è stato scelto per ambientarvi le puntate del serial di Maurizio de Giovanni, «I bastardi di Pizzofalcone».