Corriere del Mezzogiorno (Campania)
In quel «treno dei bambini» i miei ricordi degli anni nel Pci
«Il treno dei bambini» di Viola Ardone mi riporta agli anni della giovinezza
L’ho letto tutto d’un fiato, e mentre gli occhi seguivano le pagine l’una dopo l’altra ecco invece la testa cercare immagini e pensieri andando indietro nel tempo.
È davvero un bel libro Il treno dei bambini di Viola Ardone: scritto anche molto bene, racconta e rielabora in forma di romanzo una pagina indimenticabile che ancora oggi commuove ed obbliga a riflettere sul passato e sul presente del nostro paese. Dice infatti Maddalena, protagonista di primo piano della Quattro Giornate di Napoli, che «il Partito Comunista sta organizzando una cosa mai vista prima, che rimarrà nella Storia, che se la ricorderanno tutti per anni ed anni».
L’ho letto tutto d’un fiato, e mentre gli occhi seguivano le pagine l’una dopo l’altra ecco invece la testa cercare immagini e pensieri andando indietro nel tempo.
È davvero un bel libro Il treno dei bambini di Viola Ardone: scritto anche molto bene, racconta e rielabora in forma di romanzo una pagina indimenticabile che ancora oggi commuove ed obbliga a riflettere sul passato e sul presente del nostro paese. Dice infatti Maddalena, protagonista di primo piano della Quattro Giornate di Napoli, che «il Partito Comunista sta organizzando una cosa mai vista prima, che rimarrà nella Storia, che se la ricorderanno tutti per anni ed anni» ed Antonietta Speranza, una signora dei Quartieri Spagnoli, pur incerta e travagliata ma poverissima, risponde: vabbuò.
Comincia così con un dialogo tra due donne, tra una partigiana e la mamma di Amerigo, un bambino di sette anni, una vicenda che ci coinvolge come città e come persone. Per quanto mi riguarda chiama in causa e mette assieme nelle fibre più intime le due grandi passioni della mia vita, il Pci e Napoli. L’anno in questione è il 1946, la città è in condizioni terribili anche per le ferite della guerra, e nel “palazzo dei comunisti” di via Medina si sta organizzando una singolare esperienza di solidarietà: far ospitare per circa un anno bambine e bambini poveri di Napoli e del Sud presso famiglie dell’Emilia e dall’Alta Italia. Poveri sì ma non pezzenti, non ladri, come spiega con dignità Antonietta al figlio che non ha mai conosciuto il padre. Mentre in una stanza due signore raccontano tutto del treno che si sta organizzando si sentono voci agitate provenire da un’altra stanza dove tre giovinotti, che Amerigo ha già visto bene, stanno alluccando. Non è che stanno litigando, stanno discutendo le cose che bisogna fare per stare bene tutti quanti, e poi questa è la politica, aggiunge una delle due signorine.Scusate, ma non state d’accordo tra voi qua sopra, commenta il bambino incuriosito dall’appiccica su questione meridionale e integrazione internazionale.
Dopo via Medina, un nuovo incontro con i bambini e le loro famiglie si tiene presso l’Albergo dei Poveri in piazza Carlo III e mai nome era più appropriato ed evocativo. Mi è sembrato quasi di vederlo e di materializzarlo Amerigo assieme con la madre, e poi Tommasino e Mariuccia e gli altri bambini: per cinque anni sono stato ogni mattina proprio di fronte all’Albergo durante i miei anni di ginnasio e di liceo al Garibaldi. Poi infine li ritroviamo alla stazione Centrale di piazza Garibaldi mentre salgono sul treno. Sono lì per salutarli e fare loro compagnia prima della partenza Gaetano Macchiaroli («per lavoro mi occupo di libri») e Maurizio, il compagno Maurizio che in pochi minuti li ritrae su un foglio di carta: proprio lui, quello che poi è diventato sindaco, come ricorda Amerigo alla fine del libro. Di fianco al treno, sorridente e amichevole, appare anche l’intelligente biondino della questione meridionale. Proprio quando il ferroviere fischia la partenza del treno i bambini hanno un colpo di ingegno. Si tolgono i cappotti e le sciarpe e dai finestrini li lanciano alle madri: sono per i fratelli che restano a casa a Napoli. Mentre le carrozze si muovono e si allontanano Amerigo spiega a Maddalena che li accompagna nel viaggio che è giusto così: a noi i comunisti (del Nord) ce li danno un’altra volta, tanto se lo possono permettere.
Leggo, e la mia memoria si mette in movimento. Mi iscrissi al Pci da ragazzino, e poi da giovanissimo sono stato eletto segretario di una grande sezione operaia, per diverse ragioni: per le lettere dal carcere e per i testi di Antonio Gramsci, per i valori della giustizia sociale e perché non sopportavo che i caporali tastassero i muscoli dei braccianti prima di avviarli a lavoro. Proprio i compagni operai della mia sezione e la federazione napoletana del Pci vollero che andassi a seguire un seminario sulla salute in fabbrica presso la scuola di partito Anselmo Marabini, sulla collina di San Luca a Bologna. Nelle ore libere si passeggiava in città, sotto i portici, dentro il centro storico e anche in quartieri più lontani. Incancellabile dalla parte giovanile del mio cervello e dei miei sentimenti l’impressione che mi fecero, era inverno, le donne bolognesi in grande numero impellicciate: davvero tante, e dunque necessariamente anche operaie e lavoratrici, per gli occhi di un ragazzo napoletano nella prima metà degli anni ’60. Era ambivalente, in quelle giornate, il mio stato d’animo. Ero contento perché nella capitale rossa d’Italia anche le lavoratrici potevano vestire bene ma ero anche colpito da questo comunismo “ricco” che si respirava nel capoluogo emiliano. Insomma alcuni decenni dopo un filo legava le mie impressioni alle credenze di Amerigo e dei suoi coetanei.
Mentre il treno è in viaggio Mariuccia domanda a Maddalena: ma quel giovanotto biondo che litigava nel palazzo dei comunisti e che alla stazione vi aiutava a contare le creature è l’innamorato vostro? Quando mai, si intromette Amerigo: quello tiene una questione meridionale da risolvere, mica pensa all’amore. «La corte a me? Eravamo tutti compagni e compagne. Pensavamo a tante cose, mica all’amore. Io, almeno, non ci pensavo» conferma di fatto Maddalena molti anni dopo ad Amerigo diventato un bravo violinista quando si reincontrano una volta a Napoli. Era proprio un altro mondo, in effetti. Allora, e per molto tempo dopo, la politica era tutto ed all’impegno sociale e civile si sacrificavano tanti aspetti importanti della vita, perfino gli affetti e gli amori: soltanto più in là abbiamo imparato ad avere un rapporto più giusto tra la dimensione politica e la sfera privata.
Quando il treno giunge a Bologna i bambini trovano un altro mondo e sono presi dalla scoperta di una diversa e sconosciuta realtà. Altro che i comunisti che si mangiano i bambini, qua se non si stanno accorti ci mangiamo noi a loro, esclama Tommasino che poi da adulto ritroveremo giudice. È tutto nuovo, inedito: la neve sembra ricotta che cade dal cielo, la nebbia viene presa per un grande fumo. Soprattutto i bambini sono conquistati dall’ospitalità, dall’umanità, dalla solidarietà di queste loro nuove famiglie. Trasmettono ai loro genitori a Napoli queste sensazioni, ed allora Antonietta Speranza e altre mamme raccontano tante cose belle sui comunisti emiliani e dunque qualcosa comincia a cambiare nei vecchi e monarchici vicoli napoletani. Tutto questo grazie anche al seme di quel treno. Sentiamo allora ancora per un attimo Maddalena: «Era più facile una volta. Ci stava la sezione che quartiere per quartiere organizzava le iniziative per i bambini, così li toglievamo dalla strada. La storia va avanti ma alcune cose dovrebbero restare, quella idea di solidarietà. La so-li-da-rie-tà ….” Ecco, è tutto diverso da allora e guai ad avere gli occhi rivolti all’indietro. È davanti a noi che dobbiamo guardare ma senza recidere i legami con grandi esperienze politiche ed umane e cercando in modi nuovi e moderni di affermare i valori di so-li-da-rie-tà e di comu-ni-tà.