Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ho detto io quella parolaccia al San Carlo
Caro direttore, sono l’autore della parolaccia (ma penso sia più corretta definirla imprecazione) udita al San Carlo sabato sera. Mi permetta alcune precisazioni per meglio contestualizzare e quella e la desolante provincialità che si respirava in sala.
Non può evincersi dal resoconto del maestro Dario Ascoli in quanto articolo di critica musicale e non di cronaca, ma va detto che per l’intera durata di Lontano una considerevole parte di pubblico (dire la metà, ahinoi, forse non sarebbe esagerare) si è ritenuta degna di parlottare e tossire - bisogno questo non fisiologico, viste le giornate estive che questo Ottobre ci propone e che ogni problema dei condotti circolatori è sparito durante Mahler.
Capito l’andazzo musicale dopo i primi 30-40 secondi del brano, costoro hanno iniziato a fare spallucce col vicino di poltrona, parlottare, borbottare, tossire ed insomma rovinare del tutto l’esperienza di ascolto.
Il maestro Ascoli ha parlato di internazionalizzazione del gusto e del management; di certo non si può dire di pubblico: voglio sperare che per vari motivi quello presente in sala sabato fosse occasionale e lì per mettersi in mostra, piuttosto che rappresentativo degli abitudinari per interessi musicali del San Carlo.
Da parte mia, l’imprecazione è stata spontanea ma piuttosto precisa: ci tengo a far sapere che quel «vi», non «ti», si riferiva ai proprietari dei due telefonini ed a chiunque abbia offeso con quei modi l’esecuzione di Lontano.
Infine, non possono esserci dubbi che i telefonini siano stati azionati in modo scientifico: ad onor di cronaca ne hanno squillato due, a distanza di istanti, proprio mentre il brano si spegneva verso il silenzio. Casualità improbabili, colpe squallide, ciliegine su una esecuzione già rovinata. dottorando in musicologia
all’Università di Harvard