Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Storia del Paesaggio reale che è (anche) immaginario
Ci sono termini che da soli designano fatti molto complessi, una collezione di fatti compresi in un’unica parola. La difficolta, scriveva Benedetto Croce in una lettera a Vilfredo Pareto nel 1900, a proposito del termine «valore», consiste nel designare un summum genus, cioè un tutto che investe l’attività integrale dell’uomo, nelle infinite variazioni del suo esserci. Il concetto di «paesaggio», lungo una plurisecolare evoluzione, da esperienza estetica a questione tematizzata nel progressivo apporto teorico di nuove o rinnovate discipline, ha a che fare nella sua costante evidenza con il «valore». Struttura primaria dell’immaginario e dato reale mediato dall’arte, forma archetipica e genere artistico-letterario, a partire dal ‘700 il paesaggio diventa un paradigma nel quale convergono fenomeni e funzioni variabili, di natura estetica, scientifica, etico-politica, economica.
(…) Anche qui viene fuori il carattere assiologico e quindi il potere della letteratura, dal Trecento al Novecento, di costruire, accreditare, sostenere e ri-definire il vasto campo di quello che oggi si chiama bene culturale, paesaggio, città, monumento, opera d’arte che sia. E la figura che in maniera affatto esemplare rappresenta l’energia della parola letteraria nel costituire una storia e geografia della Nazione, un sistema reticolare di corrispondenze tra luoghi reali e loci, è quella del Carducci. Curiosamente, l’esperienza carducciana si ritrova solo nella rubrica della letteratura, mentre dovrebbe occupare un posto non piccolo, accanto a quello di Croce, in una storia politica dei luoghi. (…)
A Carducci si deve l’invenzione di un atlante nazionale, di una rete di siti, di panorami, di rovine, che rappresenta il diario di viaggio del poeta, del professore in missione scolastica, e insieme la mappa pubblica della memoria collettiva. L’itinerario italiano, la ricognizione dei giacimenti simbolici della nazione, sembra essere la ragione prima di una mobilità inquieta ma infaticabile ed operosa, finalizzata ai risultati della poesia, in una disposizione quasi missionaria. L’asse del percorso è la trasversale appenninica da Bologna alla Maremma toscana e di là si dipana verso nord a Milano e fino alla Carnia, scende in Umbria; si annette, in nome della Rivoluzione, i luoghi della storia di Francia, per convergere su Roma. Ne risulta escluso il territorio più battuto, da Goethe in poi, dal Grand Tour, Napoli e il Mezzogiorno d’Italia. Rimane particolarmente significativo, dunque, che alla rete di corrispondenze e relazioni fin qui esemplificate sfugga il territorio meridionale, di solito convocato, da un certo momento in poi, come frangia della mitologia classica, ovvero come immagine di una immagine. In tal senso, il Platone in Italia, il romanzo di Vincenzo Cuoco, tento di ribaltare in positiva identità la rovina, lo scavo, il recupero archeologico di un’icona italica antecedente l’Italia moderna: ma fu operazione minoritaria che non si affermo al di la di pochi entusiasti lettori d’eccezione.
In questa storia Benedetto Croce occupa un posto di rilevanza europea a molti livelli. Interessano sempre, in una biografia d’eccezione, le pulsioni originarie i primi moventi. Il filosofo che ha rivoluzionato l’idea di tempo e di storia si è mostrato sempre attratto dallo spazio, e in prima istanza da un paesaggio urbano specialissimo, esso stesso sintesi di storia e natura.
La sua giovanile passione di erudito ebbe una duplice direzione, verso le storie testimoniate dall’oralità dei canti e conti popolari e, con maggiore intensità e costanza, per le storie racchiuse nelle pietre, nelle vie, negli edifici. Il sopravvissuto che giovinetto rimase prigioniero delle macerie nel terremoto di Casamicciola potrebbe anche lui, per ragioni diverse rispetto a Roger Caillois, essere definito come «l’uomo che amava le pietre». Nel 1890 segretario della Commissione nominata dal Comune per ridefinire l’onomastica della topografia urbana messa a soqquadro dal Risanamento, fu l’estensore della relazione Sulla denominazione delle vie di Napoli risultanti dal piano di Risanamento. Qui nel dare conto del numero e della tipologia di strade coinvolte nella ridefinizione dell’immaginario urbano – 458 – sottolineava l’importanza storica non piccola dei nomi antichi. In quel caso il paesaggio appariva il risultato di un popolo nelle sequenze della sua storia: «Tra le cure molteplici dell’antica amministrazione municipale di Napoli non c’era quella di scegliere i nomi delle vie. Questi li creava il popolo coi suoi procedimenti inconscii, eppure non irragionevoli. E, se non sempre erano belli o bene scelti, non erano mai arbitrarii, ma legati ai personaggi o agli avvenimenti passati per quei luoghi». Il progetto di ridenominazione, gestito dal Comune, e considerato nella sua natura politica, e proprio perciò intende rispettare il criterio antico, endogeno e, diciamo cosi, naturale. Da esso il gruppo di storici ed eruditi capitanati da Bartolommeo Capasso, avrebbe tratto l’occasione per fondare la rivista «Napoli nobilissima», vero romanzo della citta, nella stagione del Risanamento e della mutazione urbana, vicenda avventurosa delle pietre da raccontare e, nel caso, da mettere in salvo. Ed e una prospettiva, sul paesaggio urbano, di natura semiotica, che va messa a confronto con il capitolo dedicato da Benjamin alle strade di Parigi, ai criteri di modifica dei nomi, alla ridistribuzione dei confini e delle mappe mentali in ogni soglia politica della Grande Ville cosmopolita.
(…) Com’e noto, si deve a Croce ministro la prima organica legge di tutela del paesaggio. Esso – vi si dice nelle prime righe del testo – e il volto della nazione, forma ideale del visibile. Nella sottolineatura del paesaggio come veduta, cioè del potere dello sguardo che viene storicamente formando paesaggi e della storicità degli interventi dell’uomo sulla natura c’era, è stato detto, una radice culturale tipica del primo Novecento. (…) Inoltre, accanto alle «bellezze naturali» erano «soggette a speciale protezione» piu ampie categorie di «cose immobili» per esempio quelle che abbiano «particolare relazione con la storia civile e letteraria».