Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Gigi Di Fiore: «Vi racconto Napoli, la città che ha perduto identità»
NAPOLI
A Napoli niente è come sembra. La verità si stempera negli stereotipi, la storia si fonde con il folklore, le tradizioni si evolvono in una identità che diventa prigione. «Napoletanità» è il nuovo libro del giornalista Gigi Di Fiore, un saggio che racconta non solo una città, ma anche un modo di vivere e di essere in un luogo che ha un potere evocativo come pochi altri al mondo.
Perché un altro libro su Napoli?
«Perché capire oggi Napoli e i napoletani è uno dei temi su cui ci si interroga più spesso, e non solo a livello locale. Questo libro è un punto di arrivo dei miei precedenti lavori. È un tentativo — attraverso tre sezioni — di cercare di comprendere una città che è identificata con l’intero Sud, partendo dalla svolta che ne ha segnato l’identità urbanistica e architettonica portandola all’immagine che si offre oggi ai turisti. Si parte dunque dalla Napoli di Carlo di Borbone: era diventata capitale di un regno grande e andava resa magnifica con il teatro San Carlo, l’ampliamento della Reggia e con le trasformazioni che tutti conoscono, simbolo di una storia che è orgoglio ma anche rifugio. Croce diceva che la storia è sempre contemporanea e il mio racconto dunque ha digressioni attuali. Uno degli esempi è il ricordo della mostra sul Settecento organizzata con Maurizio Valenzi sindaco, cui seguirono diversi
commenti fra cui quello di Marco Demarco che seguiva il primo cittadino e sarebbe diventato responsabile della redazione napoletana de L’Unità».
Nel libro si parla anche dei riferimenti perduti fra economia, editoria e industria.
«Sono venuti meno centri di potere che hanno caratterizzato la città, determinando una perdita di riferimenti identitari. Parlo del Banco di Napoli, de Il Mattino e del grande sogno dell’Italsider che veniva fuori dall’idea di Nitti di dare alla città un futuro industriale. Si contrapponeva a quella di Nicola Amore che puntava ad una crescita legata a turismo e alberghi. Un dibattito che oggi si ripropone con forza. I miei riferimenti sono anche romanzi e opere di narrativa — come “La dismissione’’ di Ermanno Rea — che aiutano a comprendere che in città è finito un sogno, ma non ce n’è un’altro a sostenere una idea di sviluppo. Lo stesso turismo non è governato, c’è un afflusso caotico non indirizzato. E ci si chiede la città che futuro ha».
Romanzi, articoli di giornale, saggi storici: lei ha attinto a fonti dal tenore diverso.
«Una scelta indispensabile per raccontare Napoli. Giuseppe Galasso resta un riferimento fondamentale: diceva che Napoli è l’unica città estranea alla modernità. Una città che caratterizza l’intero Paese e che ha un numero di libri a lei dedicati impossibile da immaginare per altre città. Che sollevano temi di grande urgenza. Negli scritti di Marco Demarco, Ghirelli, Stefanile si sottolinea l’elemento dell’armonia perduta, della napoletanità contrapposta alla napoletaneria. Cito poi un articolo che scrisse su Repubblica Peppe D’Avanzo dopo aver seguito i funerali di Mario Merola durante i quali la sindaca Iervolino fece un paragone con le quelli di Alberto Sordi, scomparso da poco. Ma il paragone non c’era, le celebrazioni divennero una degenerazione pulcinellesca e Peppe constatò che Napoli si crogiolava di andare verso il basso, verso la napoletaneria. Una dimensione che avverto ancora. L’abisso attrae e ci si abbandona con rassegnazione»
Alla fine resta una cartolina e alcuni simboli, che però se ne restano defilati. Lei cita il caso Pino Daniele.
«Pino Daniele si è fatto seppellire in Maremma. Ha cantato Napoli, ma non ne ha sopportato gli eccessi, la quotidianità, il caos. Lui è un emblema, come Raffaele La
Capria: figli della città che si sono sentiti stritolati pure dal dover interpretare un certo modo di essere napoletani».
E infine una galleria di citazioni, luoghi comuni.
«Citazioni su Napoli e i napoletani e citazioni di chi Napoli la guarda da lontano — come Feltri, Cruciani, Bocca — per dare il senso di come la città ispiri idee soggettive».
Napoli è uno dei brand più forti negli States e comunque in tutto il mondo. Perché?
«Da un certo momento in poi, da quando Napoli è diventata italiana, è stata la città più esportata nel mondo innanzitutto attraverso la migrazione. Nel ricostruire la storia del Banco di Napoli è venuto fuori che è stato il primo istituto di credito autorizzato dallo Stato a procedere alle rimesse degli emigranti».
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L’ispirazione
Galasso un riferimento fondamentale: diceva che la città è l’unica estranea alla modernità
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La citazione
Peppe D’Avanzo scrisse dei funerali di Mario Merola: si stava andando verso la napoletaneria
Il libro
Si presenta oggi l’ultima pubblicazione del giornalista «Un punto di arrivo»