Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cesare de Seta, da Napoli a Parigi Un lungo viaggio nell’Europa inquieta
C’è lo storico dell’arte che cita le nuvole “pietrose” del Mantegna e gli abiti “sgargianti” di Delacroix. C’è lo scrittore, ormai al suo quarto romanzo, che ricorda i bei tempi dell’editoria nazionale; quelli di Einaudi, Bompiani e Alberto Mondadori. E c’è l’esteta che apprezza le composizioni dei cuochi parigini del George V e si fa sedurre da una Citroën DS 19 neanche fosse la Danae di Correggio.
Ma ne L’isola e la Senna (edito da Jaca Book) di Cesare de Seta c’è sostanzialmente l’uomo, cioè tutte queste sensibilità calate nel fluire del tempo. Più che accadere, i fatti vengono evocati. E più dell’azione prevale dunque il pensiero. Ciò nonostante, il ritmo di questo romanzo è incalzante e lo stile è intenso e costantemente elegante. Le pagine trattengono i ricordi e le emozioni che l’autore attribuisce a Pierre, il perno su cui ruota l’intera vicenda, e quelli che Pierre, celebre matematico che frequenta musei e ascolta Schumann, percepisce in punto di morte, quando la vita gli appare all’improvviso come in un Aleph borgesiano, nell’attimo che tutto contiene. La vicenda narrata è quella di una famiglia borghese agiata e cosmopolita dei nostri giorni; di Lidia, la moglie di Pierre, nata in Italia e trasferitasi giovanissima a Parigi; e dei loro quattro figli: Antoine, Maurice, Duccio e Carole. Più il racconto affonda nei dettagli, entrando e uscendo dagli interni di famiglia; più i vari personaggi si presentano con il loro carico di relazioni, affanni e vagheggiamenti; e più si avverte l’eco delle grandi vicende che hanno agitato e ancora agitano l’Europa: i bombardamenti della seconda guerra mondiale, l’occupazione nazista, i campi di sterminio, la guerra d’Algeria, il terrorismo post sessantottino e poi quello islamico, l’ondata migratoria. Personaggio dopo personaggio, il continuo intreccio di storie personali ed epocali fa crescere nel lettore la sensazione di assistere alla storia non di un unico nucleo familiare, ma di una famiglia molto più grande. E alla fine la sensazione diventa certezza: quella che si attraversa è la storia di un’Europa inquieta ma libera, e per questo fragile. Proprio come inquieti, liberi e fragili sono i figli di Pierre e Lidia, in modo particolare la bella Carole, in perenne conflitto con la madre, e l’incerto Duccio che a furia di cercare se stesso finisce per perdersi.
Il racconto di de Seta affonda le radici nell’isola del titolo, una Sicilia di cui si avvertono i “profumi d’aranci di limoni di fichi d’India di bergamotto e di gelsomino”, ma che non viene mai esplicitamente nominata, probabilmente proprio per darle un più alto valore simbolico. E si sviluppa lungo la Senna, in una Parigi battuta da venti secchi e gelidi, qui indicata quasi come un luogo opposto al primo, e non solo in senso geografico. Insomma, si può essere vicini e distanti allo stesso tempo: tutto dipende dall’uso che facciamo della nostra libertà. Non a caso, Pierre si rivolge ai giovani figli, che ancora non si sono abituati al cielo plumbeo della capitarle francese, con parole chiare. Tali da non creare comode illusioni. «Parigi - dice è una città nordica vicina all’Atlantico, inutile che pensiate all’isola nel cuore del Mediterraneo e vicina all’Africa». Il mondo non è piccolo, e nulla può essere dato per scontato.