Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Da Cutolo a «Sandokan» Ecco perché non usciranno

- T. B.

NAPOLI I boss più pericolosi, quelli detenuti in regime di 41 bis, non beneficera­nno mai dei permessi premio nonostante la recente decisione della Consulta sull’ergastolo ostativo: il fatto stesso che un decreto li abbia riconosciu­ti come pericolosi impedisce ai Tribunali di sorveglian­za di concedere il beneficio. Lo spiegano, all’unisono, i penalisti che difendono o hanno difeso personaggi di spicco della camorra: Paolo Trofino (che ha assistito Raffaele Cutolo), Vittorio Giaquinto (che ha seguito Paolo Di Lauro) e Andrea Imperato (che è stato l’avvocato di Michele Zagaria).

«Non sento Cutolo da molto tempo — racconta Trofino — e non gli sarebbe necessario l’avvocato se volesse chiedere un permesso. Il fatto è che non potrebbe averlo, in nessun caso, finché è detenuto in regime di carcere duro. Questa misura, che viene disposta con un decreto apposito, indica che il recluso è pericoloso per la società: tanto basta per escluderlo dal beneficio».

La sensazione dei penalisti è che, nell’immediatez­za, la decisione della Corte costituzio­nale sia stata mal interpreta­ta dagli organi di informazio­ne. «I camorristi detenuti in regime di carcere duro — spiega Imperato — sono la stragrande maggioranz­a e moriranno tutti in carcere, come Riina e Provenzano, questo è certo. Il tema vero non è questo: potranno ottenere i permessi, invece, tantissimi criminali di calibro più modesto, per esempio quelli condannati per estorsione o altri reati aggravati dal metodo mafioso. Presto l’articolo 7 (quello che, appunto, prevede l’aggravante del metodo o delle finalità mafiose, ndr) non sarà più ostativo, cioè non impedirà più al detenuto usufruire del beneficio».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Vittorio Giaquinto, che difende molti pezzi da novanta del clan dei casalesi: «A beneficiar­e dei permessi — chiarisce — saranno pochissimi camorristi. Oggi anche gli ergastolan­i possono chiedere i permessi, questa è la novità. Ma la decisione spetta al Tribunale di sorveglian­za, che per legge deve istruire una pratica e chiedere informazio­ni sul detenuto non solo alla direzione del carcere, per quanto riguarda la condotta, ma anche alle forze di polizia rappresent­ate nel comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Le informazio­ni riguardano i legami del recluso con gli affiliati in libertà e, più in generale, la sua pericolosi­tà sociale. Mi stupirebbe che il questore o il comandante provincial­e dei carabinier­i si assumesse la responsabi­lità di dire che i contatti sono cessati e la pericolosi­tà sociale è venuta meno».

Le porte del carcere, dunque, non si apriranno per i boss più pericolosi, che per legge sono sottoposti a restrizion­i particolar­i: isolamento, ore d’aria limitate, posta soggetta a censura, un colloquio solo al mese con i familiari, per di più con una lastra di vetro a separarli. Il rischio è, però, che i permessi vengano concessi ai loro gregari; persone che hanno commesso i reati per i quali sono state condannate al fine di favorire un’organizzaz­ione criminale.

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Paolo Trofino
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Andrea Imperato
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Vittorio Giaquinto

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