Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Chiesta l’ispezione In due grandi armadi c’è l’antico archivio»
Il soprintendente archivistico Gabriele Capone spiega: «Mentre il Corriere denunciava il degrado di Palazzo D’Avalos, abbiamo inviato una nuova richiesta di accesso ispettivo. Ci risulta che in due armadi d’epoca ci sia l’antico archivio».
NAPOLI Due grandi armadi d’epoca zeppi di documenti dal XIV secolo in poi. È l’ultima immagine dell’archivio privato dei d’Avalos, immortalato da fotografie di sei anni fa. Gli scatti fanno parte di un fascicolo conservato nella sede della Soprintendenza archivistica di Napoli, guidata da Gabriele Capone.
Soprintendente, «questo oggetto misterioso» di cui pare si siano perse le tracce dopo la morte del principe Francesco d’Avalos, ha dunque un identikit?
«Certo. Il nostro è un lavoro silenzioso che singolarmente si è intrecciato in questo caso con quello più visibile della vostra bella inchiesta giornalistica. Per una coincidenza che non saprei definire se non “astrale” proprio nei giorni in cui il Corriere del Mezzogiorno denunciava lo stato di degrado del Palazzo di via dei Mille, questa soprintendenza inviava una nuova richiesta di accesso ispettivo».
Perché nuova?
«Da quando è iniziato il mio mandato, nel marzo 2019, mi è parsa subito evidente la criticità dell’archivio d’Avalos. Poco dopo, a maggio precisamente, ho inviato una prima richiesta che, per una notifica mancata all’erede da parte di Poste Italiane non è andata a buon fine. Purtroppo non abbiamo una posta certificata e, per richieste di sopralluoghi e ispezioni, siamo costretti a inviare le vecchie raccomandate con ricevute di ritorno. In quell’occasione l’avviso è arrivato ben un mese dopo il giorno indicato per l’ispezione...».
Un mese dopo?
«Sì! Due settimane fa ho inviato una nuova richiesta che ci consentirà entro la fine di novembre di accedere al Palazzo e visionare l’archivio».
Da come ne parla sembra sicuro che l’archivio sia lì al suo posto.
«È così e spiego perché. La dichiarazione di “interesse storico” va retrodatata di un ventennio. L’archivio è stato dichiarato tale, infatti, sin dal 1993. Il principe Francesco d’Avalos ricevette la notifica grazie a una meritoria operazione del soprintendente Felicita De Negri, tecnicamente con un aiuto giudiziario tramite la corte di appello di Napoli. Nel 2013, come ha raccontato Maria Rosaria de Diviitis al Corriere, nell’ispezione ministeriale destinata al Palazzo nel suo complesso, presenziarono anche funzionari di questa Soprintendenza e scattarono anche le foto degli armadi. Il tutto durò un giorno e mezzo, non ci fu tempo per analizzare le carte. Per questo, subito dopo, fino al 2014, ci sono stati altri tentativi di “abboccamento” con il principe, al fine di tentare un indagine più approfondita, ma d’Avalos rifiutò ogni richiesta. Ora attendo con molta fiducia la data della nuova ispezione, fiducia dettata anche dall’ottimo lavoro svolto del nucleo di tutela dei carabinieri che si occupa degli aspetti giudiziari mentre a me toccano quelli di conservazione».
La sua certezza «ontologica» è forte, dunque.
«Appropriatamente il Corriere ha pubblicato l’Inventario redatto dal 1862 al 1868 dal notaio Scotto di Santolo. Da allora al 2013 ci sono state due guerre, tanti decessi, successioni e divisioni in rami secondari dei d’Avalos: è chiaro che in quel lasso di tempo un po’ di carte siano andate disperse. Ma dal 2013 a oggi non ci sono stati eventi catastrofici tali da causare la dispersione o addirittura la sparizione dell’archivio privato. Non ho motivo di dubitare del fatto che l’erede Andrea d’Avalos sia in possesso delle antiche carte della sua famiglia».
Sono passati sei anni però.
«Pochi rispetto ai 150 da quell’atto notarile. Anzi approfitto di questa intervista per lanciare un appello: se qualche studioso, grazie all’amicizia personale con i d’Avalos, in questi ultimi sei anni avesse avuto la possibilità di visionare l’archivio, ce ne desse notizia in forma privata o attraverso il
Mi è parsa subito evidente questa criticità e lavoriamo per risolverla