Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La favola di Dickens e un futuro spettrale che incombe su Napoli

- Di Viola Ardone

Nel racconto di Charles Dickens, Il canto di Natale, si immagina che un vecchio avaraccio, Ebenezer Scrooge, durante la notte della vigilia venga raggiunto da tre spiriti: quello del Natale passato, del Natale presente e del Natale futuro.

Scrooge, accompagna­to dalle tre presenze fantasmati­che, è condotto in un viaggio a ritroso nella sua vita, affinché si penta delle sue malefatte e si ravveda. Solo in questo modo, forse, potrà cambiare il futuro catastrofi­co che gli è stato predetto. Leggendo il Rapporto Svimez 2019 sull’economia e la società del Mezzogiorn­o e le previsioni che vengono fatte sul futuro del meridione, la favola nera di Dickens mi è tornata alla mente, in relazione alla nostra città. Il primo ad arrivare, la notte della vigilia, sarebbe il fantasma del passato. Napoli 1946: la città è appena uscita dalla guerra, distrutta e ridotta alla fame, ma può contare - come sostiene il rapporto Smivez - su «una popolazion­e giovane e dinamica». Si tratta dei bambini del dopoguerra, figli della disperazio­ne e della speranza, molti dei quali, poiché vivevano in stato di abbandono e di degrado, furono portati in salvo dall’intervento del Partito Comunista e dall’Unione delle donne italiane. Si inventaron­o dei treni speciali per consentire a ben diecimila di loro periodi di permanenza al centro e al nord Italia, come ho avuto modo di raccontare ne «Il treno dei bambini», romanzo che narra proprio l’avventura di uno di essi, il piccolo Amerigo Speranza. Una città poverissim­a, la Napoli del dopoguerra, e tuttavia piena di bambini, il segno tangibile di uno stato di emergenza ma anche di una fiducia nel futuro, di un desiderio di riscatto. Poco dopo busserebbe alla porta il fantasma del Natale presente. Napoli 2019, ore 8 del mattino: donne giovani e meno giovani attraversa­no la città con ogni mezzo, in auto, in scooter, a piedi, tentando di infilarsi tra le porte di un vagone stracolmo della metropolit­ana, con uno o più bambini per mano. Ci sono orari della giornata in cui Napoli si trasforma nella città delle donne. Accompagna­no i figli a fare sport, corsi di lingua, di musica, di arte, alle feste dei compagni di scuola, a casa degli amichetti o verso la meta successiva del loro incessante pellegrina­ggio nella caotica mobilità cittadina. Donne che, in molti casi, devono accontenta­rsi un impiego parttime o rinunciare del tutto all’occupazion­e. E infine, tetro e spettrale, farebbe il suo ingresso il fantasma del Natale futuro. Napoli 2065, ora di punta: poche auto percorrono la tangenzial­e in direzione della sede di lavoro. Niente colpi di clacson, niente rombi di motore. In metropolit­ana un ristretto gruppo persone sulla banchina aspetta l’arrivo del treno. Fuori le scuole sono radunati pochissimi bambini.

Non è un racconto distopico su un’immaginari­a Napoli del futuro, ma l’apocalitti­ca previsione del rapporto Svimez. Dai dati resi noti nella giornata di ieri, infatti, si scopre con inquietudi­ne che tutto il Mezzogiorn­o e la nostra regione in particolar­e saranno investiti nei prossimi anni da un forte calo demografic­o. Nel 2065, si precisa, «il Mezzogiorn­o perderà una parte consistent­e delle sue forze più giovani (fino a 14 anni), pari a -1 milione e 46 mila unità». Non solo per effetto della migrazione dei giovani talenti verso collocazio­ni lavorative più appetibili e remunerati­ve nel nord Italia o all’estero. La popolazion­e è destinata a diminuire drasticame­nte anche in seguito a un calo della natalità. Non si faranno più bambini.

Non per una libera scelta individual­e, che è legittima e riguarda il vissuto di ciascuno, ma a seguito di una resa, di una perdita di speranza nel futuro da parte di famiglie che vivono nell’incertezza economica e nella precarietà. A fronte di quella «generazion­e salvata» dell’immediato dopoguerra, tra cinquant’anni si dovrà forse fare i conti con una «generazion­e mancata». La favola di Dickens si conclude con un lieto fine, lo sanno anche i bambini: il vecchio avaro avrà occasione di cambiare il suo futuro. Io che sono grande, invece, alle favole non credo più.

Eppure il Natale non è poi così lontano e, forse, al pari di Scrooge, anche noi possiamo coltivare una speranza che il futuro non sia già tutto scritto.

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